The Vandalo's Moscow tour 2006
The Vandalo's Moscow tour 2006
(poco di nuovo da raccontare... riciclo la storia di Mosca qualche mese fa, mai pubblicata. Si raschia il fondo...)
Il viaggio comincia sotto i peggiori auspici: sono in coda alla dogana e nella fila accanto alla mia c'è Albano. O Al Bano.
E' in un gruppo di, presumo, parenti e silenzia con metodi non easttamente approvati dal Dr. Spok una figlia, che tiene per mano e che fa domande cui il sig. Carrisi non può rispondere.
Ora.
Ho appena visto la prima puntata di Lost e l'ultima cosa che voglio è salire su un aereo con Albano, anche se volando sull'Europa dell'est le possibilità di sopravvivenza in caso d'impatto sarebbero, fortunatamente, prossime allo zero.
Incubo: feriti e dispersi sugli Urali con Albano che canta "Felicità" per tenere alto il morale. E vuole assumere la guida del gruppo prima di arrivare alle nomination.
Al check-in chiedo un posto vicino al serbatoio della benzina.
La hostess mi guarda strano.
Poi vede Albano e mi stringe la mano, comprensiva.
Sull'aereo, che avrei voluto descrivere come uno squallido bimotore a elica con sedili di vimini in un mix di sovietica Aeroflot e viaggi organizzati dal Rag. Filini (mentre trattasi di un anonimo Alitalia da medio raggio), prendo posto vicino al finestrino.
Vicino a me si siede un padre single con figliolo. Capisco la singleitudine perché lascia fare al pargolo il cazzo che gli pare.
Mi sgomita per rubarmi spazio sul bracciolo.
Rumoreggia.
Armeggia con le cuffie per il programma radio dell'aereo.
Apre il suo bocchettone dell'aria e lo punta verso di me.
Apre il mio bocchettone.
Improvvisamente rivaluto la disciplina patriarcale di Albano e, non visto dal padre, fratturo un paio di costole e lesiono qualche organo interno, con una gomitata, all'indisciplinato infante.
Educato il pargolo alle durezze della vita e al rispetto del limitato spazio offerto dai sedili economy class di Alitalia, m'immergo nella lettura di un giornale quel tanto necessario a un provvido abbiocco.
Nel giro di 3 ore atterro a Mosca, areoporto Sheremetyevo (SVO).
SVO è la sigla dell'aeroporto che il nome non lo ricordo.
All'aereoporto mi viene a prendere Vassilij. Gli chiedo se parla inglese. No. Francese. Malissimo. Spagnolo. No. Italiano. Sole, amore, mafia. Almeno non conosce "mandolino". Naturalmente conosce "vaffanculo".
Facciamo amicizia lo stesso e ci parliamo senza capirci.
Io speravo mi venisse a prendere su una Lada Ziguli, o qualcosa di simile, invece ha una Suzuki. Ci rimango male ma apprezzo l'aria condizionata.
Lungo l'autostrada per il centro di Mosca ammiro l'edilizia popolare di sovietica memoria, una sorta di Gratosoglio moltiplicato per 1000.
Arriviamo all'Hotel Ukraina verso le 7 di sera, prendo la chiave della camera e saluto Vassilij con uno dei più sconfortanti dasvidania che siano rimbombati tra le staliniane mura dell'hotel.
Salgo al 14esimo piano e prendo possesso della mia suite: 10 mq. con idromassaggio a scoregge.
Cerco dietro le grate dell'areazione telecamere nascoste dal KGB. Niente.
Nei mobili. Niente.
Negli elettrodomestici. Niente.
Sconfortato, rinuncio alle fantasie da "007 - dalla russia con amore". Mi rimiro nello specchio in un tripudio d'italica pinguedine. Più che James Bond le fantasie cinefile dovranno ricollocarsi in un più congruo "Il Compagno Don Camillo" con Fernandel e Cervi-Peppone in Unione Sovietica.
Il tempo di rilassarmi quanto serve e devo incontrare una cliente per lavoro, Quindi chiamo Veruska che mi farà da interprete. E' la prima di una decina di telefonate che mi faranno consumare un centinaio di euro di telefono in 3 giorni. Arrivano insieme e la cliente ci porta a cena.
La cliente cena con due brocche di vodka lemon. Io con una terrificante carbonara moscovita + birra tedesca e Veruska con un insalata.
Finiamo di discutere alle undici senza aver concluso un cazzo. Infatti a mesi di distanza sono ancora qui che aspetto i soldi.
Ci aveva ragione Stalin, ci aveva. Vagoni piombati per la borghesia russa, altro che vestiti di Dior e profumi Chanel!
Torno all'hotel e mi addormento con il televisore acceso, mentre su un canale moscovita è in corso una specie di olimpiade di lanciatori di tronchi e sollevatori di betoniere.
C'è anche il canale porno che millanta visione gratuita per un minuto.
Opto, immaginando tardone siberiane orgasmanti "Da! Da!! Da!!!".
Non si vede un cazzo.
Torno sulle olimpiadi mentre un ukraino grosso come un trattore solleva una betoniera e la porta su per una scalinata.
Dormo.
Il giorno seguente Vassilij mi viene a prendere per portarmi alla dacia ove dovrei lavorare.
Usciti da Mosca percorriamo la Rubliovka.
La Rubliovka è la via su cui sorgono le dacie più ambite dai nuovi ricchi russi. Letteralmente vuole dire "via dei rubli" e viaggiandoci si capisce il perché. Porche Cayenne, Rolls, Bentley, Ferrari. Le macchine che incontriamo sono tutte così.
Anzi, no. Non tutte. C'è qualche Lada, Moskowich, piccole coreane o giapponesi. Del resto per ogni dacia ci sono 5-10 camerieri, tate, tuttofare, security, ecc. e pure loro devono viaggiare. Strano non abbiano fatto una corsia riservata alla plebe.
Passiamo di fianco a un gigantesco prato di sterpaglie brulicante poliziotti armati.
Le parole "Putin" e "Dacia" più qualche gesto di significato quantomeno dubbio mi fa capire che a un paio di km. c'è la dacia di Putin e, a quanto capisco, quando va dalla sua casa di Mosca alla dacia la Rubliovka viene completamente bloccata fino al passaggio del corteo imperiale. Ehm, no... presidenziale.
Continuando, passiamo di fianco al nuovo gioiello della Rubliovka: un centro commerciale esclusivamente di marchi costosi: Versace, Armani, D&G, Ferrari, Harley Davidson, Bentley, Cavalli e molti altri. Una specie di Città Mercato per tamarri danarosi.
Arriviamo al cantiere dove sta sorgendo la dacia.
La divisione nazionale è questa: Riccone - russo, tuttofare - russo, sicurezza - turkmeno, muratori - tagiki, georgiani, ukraini, etc., interni - italici.
Ora. Se la committente avesse preso un impresa bergamasca con tre muratori avrebbe speso un tot in più e avrebbe avuto la casa pronta in un anno. Hanno voluto risparmiare prendendo 20 poveracci da tutte le repubbliche ex-sovietiche e, dopo cinque anni, la casa è appena al rustico. More power to ex soviet workers, comunque. Si stanno tirando avanti la paga da 5 anni e il proprietario non se ne accorge.
La manovalanza mi guarda con sospetto. Mi aggiro tra le stanze scattando foto agli ambienti e almeno 3/4 dei muratori in giro fanno evidentemente finta di lavorare appena entro in una stanza. Un ukraino sa qualcosa d'italiano e gli faccio capire che non sono una spia del padrone di casa. Dopo mezz'ora mi sorridono quando entro e continuano a cazzeggiare tranquilli. La classe operaia ci tiene a mostrarmi la propria conoscenza della vulgata italica: "Italiano", "spaghetti", "mafia", "vaffanculo". No vaffanculo tu. Mi faccio spiegare come si dice vaffanculo in una dozzina di lingue e le dimentico tutte in meno di 10 secondi. Ma "vaffanculo" lo capiscono dappertutto. Oramai è più famoso di "mafia" e di "spaghetti".
Vado a pranzo con la cliente mentre la manovalanza si prepara la zuppa riscaldandola nel modo più terrificante che abbia visto: immergendo nella pentola piena di liquido due cavi elettrici. Hardcore food.
Di pranzo e discussioni di lavoro non parlo, che non voglio tediarvi. Solo, sottolineo l'apprezzamento per vodka liscia, aringhe salate e cetriolini. Come aperitivo.
Torno a Mosca verso le sette di sera, sempre con Vassilij alla guida, impegnati in discussioni di cui non capiamo, reciprocamente, una fava. Io capisco che lui guidava gli elicotteri nell'Armata Rossa, vorrebbe farsi la sua piccola dacia da qualche parte, che ha due figli che chattano su internet tutto il giorno e che quando c'era il comunismo si stava peggio ma c'erano in giro meno stronzi arroganti (vaffanculo, of course).
Arriviamo all'hotel e ci salutiamo mettendoci daccordo sull'ora in cui mi dovrà venire a prendere per andare all'areoporto. Non ho idea di cosa ci siamo detti.
Intanto arriva Veruska e io, felice di poter parlare con qualcuno la lingua madre la invito a cena.
Il posto lo sceglie lei.
E' un ristornate il cui arredo è un incrocio tra una baita alpina e un saloon del west.
Le grigliate di carne, comunque, mantengono quello che promettono.
Veruska mi porta a vistare la Piazza Rossa e faccio l'obbligatoria foto davanti al mausoleo di Lenin. Prendiamo la metropolitana per tornare verso l'albergo chiacchierando di Russia, Italia e cazzi vari.
Tornando indietro una vecchia cerca di vendermi una spilletta dell'Armata Rossa a 10 euro. Evidentemente ho la faccia da turista pollo. Al mercato di Lambrate le trovo a 2-3 euro l'una. Opto per una foto in bianco e nero di un camion lanciarazzi Katiusha, noto anche come "Stalin Organ" che mi cede per una manciata di bigliettoni di rubli, per un valore totale di un paio di euro.
Con Veruska ci salutiamo all'albergo.
Il giorno seguente preparo i bagagli e mi rubo le confezioni di shampoo e sapone marchiati Hotel Ukraina.
Non che lo shampoo mi serva un granché.
Infatti è ancora intatto nel bagno di casa mia, ove rimarrà finché mi cacherò il cazzo di vederlo impolverarsi.
Vassilj arriva puntuale. Io sono in ritardo, ché mi sto strafogando di colazione inclusa nel prezzo. Oltretutto nel ristorante dell'hotel si può fumare, cosa che faccio inorridendo i vicini di tavolo salutisti.
Ci mettiamo in viaggio con largo anticipo. Vassilij ha paura di rimanere imbottigliato nel traffico della tangenziale.
La tangenziale di Mosca non è come quella di Milano e nemmeno come il raccordo anulare. E fottutamente infinita. Noi ne dobbiamo fare un pezzettino e sarà lungo come la Milano-Torino.
C'è un traffico terrificante e tutti sorpassano a destra, a sinistra, sulla corsia d'emergenza. Camion che hanno visto la seconda guerra mondiale con pneumatici assolutamente lisci, con ghidatori che cambiano corsia segnalando col braccio dal finestrino. Vecchie Lada, Moskowitch, tedesche Trabant, italiche Fiat, con le ruote ovalizzate e la marmitta catarrosa. E le solite Porche Cayenne.
Vassilij decide che l'autostrada è troppo trafficata e opta per un percorso alternativo.
Ci infiliamo in una statale, e poi attraversiamo qualche decina di paesi. Vedo qualche pezzo di Russia di quelli non compresi nei percorsi turistici. Edilizia popolare in stile Rozzano su una superficie 10 volte la Brianza ma con simile densità edificata.
Comprendo non sia inclusa nei tour turistici.
Arriviamo all'areoporto. Vassilij mi saluta abbracciandomi, commosso. Mi commuovo anch'io, anche se comprendo la gaytudine della situazione. Del resto, non potendo salutarsi a parole si usano le mani.
La Santa Madre Russia, comprensiva, m'allieta la tristezza degli addi con la comica finale: operai che rifanno i pavimenti di marmo all'esterno, viaggiatore moscovita da business class che si avvia parlando al cellu, passeggiando sulla base di cemento fresco dove stanno attaccando i piastrelloni marmorei.
Gli operai smadonnano per il lavoro da rifare.
Il businessman smadonna per le scarpe da 1200 euro cementate.
I reciproci insulti attirano l'attenzione dei viaggiatori intorno.
Il businessman si gira per infilare la porta automatica di cristallo davanti a lui, quella davanti a cui, quand'era girato, c'era il cartello "fuori servizio".
Il conseguente impatto è degno dei grandi classici della comicità cinematografica, da Buster Keaton in poi.
Comincio ad amare questo paese.
Tutto il resto è viaggio di ritorno.
(poco di nuovo da raccontare... riciclo la storia di Mosca qualche mese fa, mai pubblicata. Si raschia il fondo...)
Il viaggio comincia sotto i peggiori auspici: sono in coda alla dogana e nella fila accanto alla mia c'è Albano. O Al Bano.
E' in un gruppo di, presumo, parenti e silenzia con metodi non easttamente approvati dal Dr. Spok una figlia, che tiene per mano e che fa domande cui il sig. Carrisi non può rispondere.
Ora.
Ho appena visto la prima puntata di Lost e l'ultima cosa che voglio è salire su un aereo con Albano, anche se volando sull'Europa dell'est le possibilità di sopravvivenza in caso d'impatto sarebbero, fortunatamente, prossime allo zero.
Incubo: feriti e dispersi sugli Urali con Albano che canta "Felicità" per tenere alto il morale. E vuole assumere la guida del gruppo prima di arrivare alle nomination.
Al check-in chiedo un posto vicino al serbatoio della benzina.
La hostess mi guarda strano.
Poi vede Albano e mi stringe la mano, comprensiva.
Sull'aereo, che avrei voluto descrivere come uno squallido bimotore a elica con sedili di vimini in un mix di sovietica Aeroflot e viaggi organizzati dal Rag. Filini (mentre trattasi di un anonimo Alitalia da medio raggio), prendo posto vicino al finestrino.
Vicino a me si siede un padre single con figliolo. Capisco la singleitudine perché lascia fare al pargolo il cazzo che gli pare.
Mi sgomita per rubarmi spazio sul bracciolo.
Rumoreggia.
Armeggia con le cuffie per il programma radio dell'aereo.
Apre il suo bocchettone dell'aria e lo punta verso di me.
Apre il mio bocchettone.
Improvvisamente rivaluto la disciplina patriarcale di Albano e, non visto dal padre, fratturo un paio di costole e lesiono qualche organo interno, con una gomitata, all'indisciplinato infante.
Educato il pargolo alle durezze della vita e al rispetto del limitato spazio offerto dai sedili economy class di Alitalia, m'immergo nella lettura di un giornale quel tanto necessario a un provvido abbiocco.
Nel giro di 3 ore atterro a Mosca, areoporto Sheremetyevo (SVO).
SVO è la sigla dell'aeroporto che il nome non lo ricordo.
All'aereoporto mi viene a prendere Vassilij. Gli chiedo se parla inglese. No. Francese. Malissimo. Spagnolo. No. Italiano. Sole, amore, mafia. Almeno non conosce "mandolino". Naturalmente conosce "vaffanculo".
Facciamo amicizia lo stesso e ci parliamo senza capirci.
Io speravo mi venisse a prendere su una Lada Ziguli, o qualcosa di simile, invece ha una Suzuki. Ci rimango male ma apprezzo l'aria condizionata.
Lungo l'autostrada per il centro di Mosca ammiro l'edilizia popolare di sovietica memoria, una sorta di Gratosoglio moltiplicato per 1000.
Arriviamo all'Hotel Ukraina verso le 7 di sera, prendo la chiave della camera e saluto Vassilij con uno dei più sconfortanti dasvidania che siano rimbombati tra le staliniane mura dell'hotel.
Salgo al 14esimo piano e prendo possesso della mia suite: 10 mq. con idromassaggio a scoregge.
Cerco dietro le grate dell'areazione telecamere nascoste dal KGB. Niente.
Nei mobili. Niente.
Negli elettrodomestici. Niente.
Sconfortato, rinuncio alle fantasie da "007 - dalla russia con amore". Mi rimiro nello specchio in un tripudio d'italica pinguedine. Più che James Bond le fantasie cinefile dovranno ricollocarsi in un più congruo "Il Compagno Don Camillo" con Fernandel e Cervi-Peppone in Unione Sovietica.
Il tempo di rilassarmi quanto serve e devo incontrare una cliente per lavoro, Quindi chiamo Veruska che mi farà da interprete. E' la prima di una decina di telefonate che mi faranno consumare un centinaio di euro di telefono in 3 giorni. Arrivano insieme e la cliente ci porta a cena.
La cliente cena con due brocche di vodka lemon. Io con una terrificante carbonara moscovita + birra tedesca e Veruska con un insalata.
Finiamo di discutere alle undici senza aver concluso un cazzo. Infatti a mesi di distanza sono ancora qui che aspetto i soldi.
Ci aveva ragione Stalin, ci aveva. Vagoni piombati per la borghesia russa, altro che vestiti di Dior e profumi Chanel!
Torno all'hotel e mi addormento con il televisore acceso, mentre su un canale moscovita è in corso una specie di olimpiade di lanciatori di tronchi e sollevatori di betoniere.
C'è anche il canale porno che millanta visione gratuita per un minuto.
Opto, immaginando tardone siberiane orgasmanti "Da! Da!! Da!!!".
Non si vede un cazzo.
Torno sulle olimpiadi mentre un ukraino grosso come un trattore solleva una betoniera e la porta su per una scalinata.
Dormo.
Il giorno seguente Vassilij mi viene a prendere per portarmi alla dacia ove dovrei lavorare.
Usciti da Mosca percorriamo la Rubliovka.
La Rubliovka è la via su cui sorgono le dacie più ambite dai nuovi ricchi russi. Letteralmente vuole dire "via dei rubli" e viaggiandoci si capisce il perché. Porche Cayenne, Rolls, Bentley, Ferrari. Le macchine che incontriamo sono tutte così.
Anzi, no. Non tutte. C'è qualche Lada, Moskowich, piccole coreane o giapponesi. Del resto per ogni dacia ci sono 5-10 camerieri, tate, tuttofare, security, ecc. e pure loro devono viaggiare. Strano non abbiano fatto una corsia riservata alla plebe.
Passiamo di fianco a un gigantesco prato di sterpaglie brulicante poliziotti armati.
Le parole "Putin" e "Dacia" più qualche gesto di significato quantomeno dubbio mi fa capire che a un paio di km. c'è la dacia di Putin e, a quanto capisco, quando va dalla sua casa di Mosca alla dacia la Rubliovka viene completamente bloccata fino al passaggio del corteo imperiale. Ehm, no... presidenziale.
Continuando, passiamo di fianco al nuovo gioiello della Rubliovka: un centro commerciale esclusivamente di marchi costosi: Versace, Armani, D&G, Ferrari, Harley Davidson, Bentley, Cavalli e molti altri. Una specie di Città Mercato per tamarri danarosi.
Arriviamo al cantiere dove sta sorgendo la dacia.
La divisione nazionale è questa: Riccone - russo, tuttofare - russo, sicurezza - turkmeno, muratori - tagiki, georgiani, ukraini, etc., interni - italici.
Ora. Se la committente avesse preso un impresa bergamasca con tre muratori avrebbe speso un tot in più e avrebbe avuto la casa pronta in un anno. Hanno voluto risparmiare prendendo 20 poveracci da tutte le repubbliche ex-sovietiche e, dopo cinque anni, la casa è appena al rustico. More power to ex soviet workers, comunque. Si stanno tirando avanti la paga da 5 anni e il proprietario non se ne accorge.
La manovalanza mi guarda con sospetto. Mi aggiro tra le stanze scattando foto agli ambienti e almeno 3/4 dei muratori in giro fanno evidentemente finta di lavorare appena entro in una stanza. Un ukraino sa qualcosa d'italiano e gli faccio capire che non sono una spia del padrone di casa. Dopo mezz'ora mi sorridono quando entro e continuano a cazzeggiare tranquilli. La classe operaia ci tiene a mostrarmi la propria conoscenza della vulgata italica: "Italiano", "spaghetti", "mafia", "vaffanculo". No vaffanculo tu. Mi faccio spiegare come si dice vaffanculo in una dozzina di lingue e le dimentico tutte in meno di 10 secondi. Ma "vaffanculo" lo capiscono dappertutto. Oramai è più famoso di "mafia" e di "spaghetti".
Vado a pranzo con la cliente mentre la manovalanza si prepara la zuppa riscaldandola nel modo più terrificante che abbia visto: immergendo nella pentola piena di liquido due cavi elettrici. Hardcore food.
Di pranzo e discussioni di lavoro non parlo, che non voglio tediarvi. Solo, sottolineo l'apprezzamento per vodka liscia, aringhe salate e cetriolini. Come aperitivo.
Torno a Mosca verso le sette di sera, sempre con Vassilij alla guida, impegnati in discussioni di cui non capiamo, reciprocamente, una fava. Io capisco che lui guidava gli elicotteri nell'Armata Rossa, vorrebbe farsi la sua piccola dacia da qualche parte, che ha due figli che chattano su internet tutto il giorno e che quando c'era il comunismo si stava peggio ma c'erano in giro meno stronzi arroganti (vaffanculo, of course).
Arriviamo all'hotel e ci salutiamo mettendoci daccordo sull'ora in cui mi dovrà venire a prendere per andare all'areoporto. Non ho idea di cosa ci siamo detti.
Intanto arriva Veruska e io, felice di poter parlare con qualcuno la lingua madre la invito a cena.
Il posto lo sceglie lei.
E' un ristornate il cui arredo è un incrocio tra una baita alpina e un saloon del west.
Le grigliate di carne, comunque, mantengono quello che promettono.
Veruska mi porta a vistare la Piazza Rossa e faccio l'obbligatoria foto davanti al mausoleo di Lenin. Prendiamo la metropolitana per tornare verso l'albergo chiacchierando di Russia, Italia e cazzi vari.
Tornando indietro una vecchia cerca di vendermi una spilletta dell'Armata Rossa a 10 euro. Evidentemente ho la faccia da turista pollo. Al mercato di Lambrate le trovo a 2-3 euro l'una. Opto per una foto in bianco e nero di un camion lanciarazzi Katiusha, noto anche come "Stalin Organ" che mi cede per una manciata di bigliettoni di rubli, per un valore totale di un paio di euro.
Con Veruska ci salutiamo all'albergo.
Il giorno seguente preparo i bagagli e mi rubo le confezioni di shampoo e sapone marchiati Hotel Ukraina.
Non che lo shampoo mi serva un granché.
Infatti è ancora intatto nel bagno di casa mia, ove rimarrà finché mi cacherò il cazzo di vederlo impolverarsi.
Vassilj arriva puntuale. Io sono in ritardo, ché mi sto strafogando di colazione inclusa nel prezzo. Oltretutto nel ristorante dell'hotel si può fumare, cosa che faccio inorridendo i vicini di tavolo salutisti.
Ci mettiamo in viaggio con largo anticipo. Vassilij ha paura di rimanere imbottigliato nel traffico della tangenziale.
La tangenziale di Mosca non è come quella di Milano e nemmeno come il raccordo anulare. E fottutamente infinita. Noi ne dobbiamo fare un pezzettino e sarà lungo come la Milano-Torino.
C'è un traffico terrificante e tutti sorpassano a destra, a sinistra, sulla corsia d'emergenza. Camion che hanno visto la seconda guerra mondiale con pneumatici assolutamente lisci, con ghidatori che cambiano corsia segnalando col braccio dal finestrino. Vecchie Lada, Moskowitch, tedesche Trabant, italiche Fiat, con le ruote ovalizzate e la marmitta catarrosa. E le solite Porche Cayenne.
Vassilij decide che l'autostrada è troppo trafficata e opta per un percorso alternativo.
Ci infiliamo in una statale, e poi attraversiamo qualche decina di paesi. Vedo qualche pezzo di Russia di quelli non compresi nei percorsi turistici. Edilizia popolare in stile Rozzano su una superficie 10 volte la Brianza ma con simile densità edificata.
Comprendo non sia inclusa nei tour turistici.
Arriviamo all'areoporto. Vassilij mi saluta abbracciandomi, commosso. Mi commuovo anch'io, anche se comprendo la gaytudine della situazione. Del resto, non potendo salutarsi a parole si usano le mani.
La Santa Madre Russia, comprensiva, m'allieta la tristezza degli addi con la comica finale: operai che rifanno i pavimenti di marmo all'esterno, viaggiatore moscovita da business class che si avvia parlando al cellu, passeggiando sulla base di cemento fresco dove stanno attaccando i piastrelloni marmorei.
Gli operai smadonnano per il lavoro da rifare.
Il businessman smadonna per le scarpe da 1200 euro cementate.
I reciproci insulti attirano l'attenzione dei viaggiatori intorno.
Il businessman si gira per infilare la porta automatica di cristallo davanti a lui, quella davanti a cui, quand'era girato, c'era il cartello "fuori servizio".
Il conseguente impatto è degno dei grandi classici della comicità cinematografica, da Buster Keaton in poi.
Comincio ad amare questo paese.
Tutto il resto è viaggio di ritorno.
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