Peter Adolph era un ornitologo
Peter Adolph era un ornitologo.
L'argomento sicuramente appassionerà tutti voi.
Chi avrebbe il coraggio di continuare la lettura del post dopo un inizio come questo?
Peter Adolph era un ornitologo, dicevamo.
La seconda guerra mondiale era finita da pochi anni, quando, in un uggioso pomeriggio del 1947 - e scrivo "uggioso" anche se mi sono assolutamente ignote le condizioni climatiche dell'epoca nonché ogni coordinata spazio temporale, con la sola soddisfazione di adoperare un lemma inusitato per soddisfare la mia supponenza e/o arroganza - Peter Adolph realizzò la più diffusa versione domestica della sua più grande passione dopo l'ornitologia: il calcio.
Ma non poteva dimenticarsi della sua passione principale, lo studio e la classificazione d'ogni tipo di pennuti e volatili, per cui, alla sua opera che farà giocare milioni di persone, decise di dare il nome del suo rapace preferito: il Falco Subbuteo.
Fino a una manciata di anni fa, in un'altra epoca, non c'erano le playstation e nemmeno le decine di videogiochi a tema calcistico. O meglio, cominciavano a uscire ma facevano alquanto cacare.
Fino a qualche anno fa l'unica soluzione "digitale" per la simulazione di una partita di calcio consisteva nell'incrociare pollice e indice, per colpire un pupazzetto di plastica dura, che avrebbe poi colpito una pallina, verso, si suppone, la rete avversaria.
Il Subbuteo era il sogno di ogni adolescente che si rispetti.
Un panno verde a fare da campo e la classica scatoletta con i giocatori, con le maglie dipinte a mano.
Il successo del Subbuteo era qui (oltre al fatto di essere stati indiscutibilmente i primi), la concorrenza (Atlantic, Arco-Falc e pochi altri) proponeva campi in fredda plastica e calciatori a due colori, mentre il Subbuteo aveva un campo in panno eroticamente caldo e centinaia di squadre con i regolari colori sociali.
I giocatori di Subbuteo si dividevano in due categorie: normali e invasati.
I giocatori normali avevano il proprio campo, a volte incollato su una tavoletta di compensato per evitare la piegatura per riporlo nella scatola, che avrebbe provocato fastidiosi rilievi e avvallamenti. Avevano, inoltre, la propria squadra del cuore e un'altra di riserva, per le partite con giocatori della stessa fede calcistica (io avevo Milan e Alessandria, le squadre in cui aveva militato eoni fa Rivera).
I giocatori invasati avevano, non solo il campo incollato con geometrica precisione a un pannello di legno, ma le tribune con il pubblico, gli striscioni delle tifoserie, le recinzioni e l'orologio segnatempo per i 90 minuti regolamentari.
Non avevano solamente la propria squadra più una riserva, no. Avevano decine di squadre e, a volte pure squadre doppie per mantenere l'integrità della formazione titolare.
Si, perché questi pupazzetti si rompevano con sconfortante facilità.
I più si accontentavano di incollare il corpo sui due monconi di gambe che rimanevano attaccati al disco di base, con il risultato di ottenere calciatori affondati in un montarozzo di bostik rappreso o avvolti come mummie in striscioline di nastro adesivo trasparente. Le rotture continuate rendevano la propria squadra, nel corso dei mesi, un'accozzaglia di omignoli storpi, storti e sciancati.
Gli invasati avevano sempre la formazione titolare in condizioni perfette.
Gli invasati non si accontentavano di possedere la maggior parte delle squadre di serie A, che fossero le classiche Milan, Inter, Juve, Toro, Roma, Lazio, ecc.
Non si accontentavano di conosciute e meno conosciute squadre di B come Sanbenedettese, Spal, Lanerossi Vicenza, Pergocrema, Turris, Pro Patria e Akragas.
Avevano anche le formazioni straniere.
Oggi invidio l'Athletic Bilbao che possedeva il mio vicino di casa, anche se all'epoca mi chiedevo chi cazzo fosse 'sto Athletic Bilbao. Lo scoprii quando battè la Juve in Coppa qualche tempo dopo.
'Sti cazzi. Forte l'Athletic Bilbao.
Anche se, volendo guardare, i pupazzetti avevano la stessa maglia del Lanerossi Vicenza.
Essere innocenti fanciulli non ti salva, però, dal demone del gioco d'azzardo.
Come succede oggi per le gare d'auto illegali, dove la posta in gioco è il libretto della macchina, noi soddisfacevamo la nostra voglia di azzardo giocandoci la squadra in una partita.
Và da se che nessuno si giocava la squadra titolare. Io, ad esmpio, persi l'Alessandria. Per fortuna dopo aver vinto il Torino.
Si, perché allora non è come oggi, dove debosciati genitori ex sessantottini viziano la prole donandogli la PS2, il cellulare e ogni inutile puttanata (o forse c'erano, anche non essendo ex sessantottini, e avevano i figli "giocatori invasati"!).
I nostri avevano fatto l'adolescenza durante la guerra e non gettavano i soldi in inutili orpelli.
Ma vaglielo a spiegare a un teenager dei primi anni 80 che il Subbuteo è un inutile orpello.
Poi uno si stupisce che a 14 anni diventa punk e magari si dà alla droga.
E' perché genitori troppo rigidi gli hanno negato l'acquisto d'una squadra di seconda divisione della Bundesliga.
L'argomento sicuramente appassionerà tutti voi.
Chi avrebbe il coraggio di continuare la lettura del post dopo un inizio come questo?
Peter Adolph era un ornitologo, dicevamo.
La seconda guerra mondiale era finita da pochi anni, quando, in un uggioso pomeriggio del 1947 - e scrivo "uggioso" anche se mi sono assolutamente ignote le condizioni climatiche dell'epoca nonché ogni coordinata spazio temporale, con la sola soddisfazione di adoperare un lemma inusitato per soddisfare la mia supponenza e/o arroganza - Peter Adolph realizzò la più diffusa versione domestica della sua più grande passione dopo l'ornitologia: il calcio.
Ma non poteva dimenticarsi della sua passione principale, lo studio e la classificazione d'ogni tipo di pennuti e volatili, per cui, alla sua opera che farà giocare milioni di persone, decise di dare il nome del suo rapace preferito: il Falco Subbuteo.
Fino a una manciata di anni fa, in un'altra epoca, non c'erano le playstation e nemmeno le decine di videogiochi a tema calcistico. O meglio, cominciavano a uscire ma facevano alquanto cacare.
Fino a qualche anno fa l'unica soluzione "digitale" per la simulazione di una partita di calcio consisteva nell'incrociare pollice e indice, per colpire un pupazzetto di plastica dura, che avrebbe poi colpito una pallina, verso, si suppone, la rete avversaria.
Il Subbuteo era il sogno di ogni adolescente che si rispetti.
Un panno verde a fare da campo e la classica scatoletta con i giocatori, con le maglie dipinte a mano.
Il successo del Subbuteo era qui (oltre al fatto di essere stati indiscutibilmente i primi), la concorrenza (Atlantic, Arco-Falc e pochi altri) proponeva campi in fredda plastica e calciatori a due colori, mentre il Subbuteo aveva un campo in panno eroticamente caldo e centinaia di squadre con i regolari colori sociali.
I giocatori di Subbuteo si dividevano in due categorie: normali e invasati.
I giocatori normali avevano il proprio campo, a volte incollato su una tavoletta di compensato per evitare la piegatura per riporlo nella scatola, che avrebbe provocato fastidiosi rilievi e avvallamenti. Avevano, inoltre, la propria squadra del cuore e un'altra di riserva, per le partite con giocatori della stessa fede calcistica (io avevo Milan e Alessandria, le squadre in cui aveva militato eoni fa Rivera).
I giocatori invasati avevano, non solo il campo incollato con geometrica precisione a un pannello di legno, ma le tribune con il pubblico, gli striscioni delle tifoserie, le recinzioni e l'orologio segnatempo per i 90 minuti regolamentari.
Non avevano solamente la propria squadra più una riserva, no. Avevano decine di squadre e, a volte pure squadre doppie per mantenere l'integrità della formazione titolare.
Si, perché questi pupazzetti si rompevano con sconfortante facilità.
I più si accontentavano di incollare il corpo sui due monconi di gambe che rimanevano attaccati al disco di base, con il risultato di ottenere calciatori affondati in un montarozzo di bostik rappreso o avvolti come mummie in striscioline di nastro adesivo trasparente. Le rotture continuate rendevano la propria squadra, nel corso dei mesi, un'accozzaglia di omignoli storpi, storti e sciancati.
Gli invasati avevano sempre la formazione titolare in condizioni perfette.
Gli invasati non si accontentavano di possedere la maggior parte delle squadre di serie A, che fossero le classiche Milan, Inter, Juve, Toro, Roma, Lazio, ecc.
Non si accontentavano di conosciute e meno conosciute squadre di B come Sanbenedettese, Spal, Lanerossi Vicenza, Pergocrema, Turris, Pro Patria e Akragas.
Avevano anche le formazioni straniere.
Oggi invidio l'Athletic Bilbao che possedeva il mio vicino di casa, anche se all'epoca mi chiedevo chi cazzo fosse 'sto Athletic Bilbao. Lo scoprii quando battè la Juve in Coppa qualche tempo dopo.
'Sti cazzi. Forte l'Athletic Bilbao.
Anche se, volendo guardare, i pupazzetti avevano la stessa maglia del Lanerossi Vicenza.
Essere innocenti fanciulli non ti salva, però, dal demone del gioco d'azzardo.
Come succede oggi per le gare d'auto illegali, dove la posta in gioco è il libretto della macchina, noi soddisfacevamo la nostra voglia di azzardo giocandoci la squadra in una partita.
Và da se che nessuno si giocava la squadra titolare. Io, ad esmpio, persi l'Alessandria. Per fortuna dopo aver vinto il Torino.
Si, perché allora non è come oggi, dove debosciati genitori ex sessantottini viziano la prole donandogli la PS2, il cellulare e ogni inutile puttanata (o forse c'erano, anche non essendo ex sessantottini, e avevano i figli "giocatori invasati"!).
I nostri avevano fatto l'adolescenza durante la guerra e non gettavano i soldi in inutili orpelli.
Ma vaglielo a spiegare a un teenager dei primi anni 80 che il Subbuteo è un inutile orpello.
Poi uno si stupisce che a 14 anni diventa punk e magari si dà alla droga.
E' perché genitori troppo rigidi gli hanno negato l'acquisto d'una squadra di seconda divisione della Bundesliga.
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