NATI PER ESSERE BARISTISATANICI

Come sanno i frequentatori di MIHC messageboard, il Baristasatanico si è laureato in Scienza dell'Educazione con una tesi dal titolo: "NATI PER ESSERE VELOCI - UNO SGUARDO ANTROPOLOGICO AL PUNK IN ITALIA".
Chi voglia leggerla la può trovare qui oppure qui.
Io, naturalmente, l'ho letta, curioso come sono di sapere quello che scrive sul punk italiano una persona interna alla scena, che sulle cose scritte dalle persone esterne più che puttanate non ve n'è.

La storia non esiste, la geografia è una convenzione e in algebra sono sempre andato male
Di libri sul punk scritti da punk, oramai, ce ne sono una discreta quantità: Riccardo Pedrini, Marco Philopat, Roberto Perciballi, Stefano Giaccone, Silvio Bernelli hanno raccontato storie di Bologna, Milano, Roma, Torino.
Tutti hanno raccontato la loro visione della storia, quello che vedevano con i loro occhi e che, a volte, era diverso da quello che vedevano altri occhi.
Questo va tenuto a mente ogni volta che si legge un libro "storico" di qualunque tipo.
Per fare un esempio, la Milano punk del 77 raccontata da Philopat ha alcune differenze con quella che racconta Glezos e il Virus di Philopat è diverso da quello che potrebbe raccontare Gianmario dei Wretched.
La Bologna raccontata da Pedrini è diversa da quella di Giampi/Helena Velena.
La Roma di Perciballi e dei Bloody Riot potrebbe essere diversa da quella che racconterebbero quelli de La Pannokkia piuttosto che qualcuno dei Bassotti.
La Torino di Silvio e del Mucchio Selvaggio è diversa da quella che potrebbe raccontare uno dei Rough, ed entrambe sarebbero diverse da quella dello Spesso del Paso.
Questo non succede perché qualcuno di questi voglia censurare qualcosa o racconti palle per infiocchettare il proprio passato. Semplicemente, gli eventi che ti segnano, quelli che ci tieni a raccontare, che diventano per il lettore "mito" (nel senso di storia facente parte di quelle che si considerano le proprie radici culturali, anche se non vissuta direttamente), sono diversi per ogni voce raccontante e ne hanno influenzato la personalità in modi differenti.
Tutto questo per dire cosa?
La tesi del Baristasatanico si basa in buona parte su una nutrita bibliografia, comprensiva dei libri degli autori succitati. Si basa quindi su storie, non sulla Storia, ammesso che esista una Storia con la "S" maiuscola, un susseguirsi di di eventi oggettivi e analizzabili.
Ciò influisce sulla validità della sua tesi?
Boh. Mah. Chissà. Comunque penso di no.
Del resto sono stati fatti studi antropologici ritenuti validissimi su culture preistoriche di cui conosciamo 4 disegni in una grotta, per cui...
Solo, va ricordato che la storia non è una linea retta, ma un fascio di linee che si incrociano, si biforcano, partono e finiscono in modo assolutamente casuale, e nessuno è in grado di vederle tutte.

Ok, criticare è facile. Ma perché devo fare le cose difficili?
La critica.
Serve a qualcosa la critica?
Una persona passa dei mesi a scrivere un testo, arriva il primo stronzo e in cinque minuti da il suo parere del cazzo, lo decora con una manciata di parole di quelle che fanno fine intellettuale e bona lè.
E quindi?
Quindi ci aggiungo le mie, di considerazioni da due soldi.
Ad esempio che, per essere uno sguardo sul punk italiano (antropologico, anzichenò), lo spazio italiano è un po' striminzito: metà della tesi è dedicata alla nascita del punk, al punk inglese e a quello americano. Chiaro che non se ne può fare a meno, dato che cosa significhi punk dev'essere spiegato a professori ignoranti (nel senso che ignorano l'argomento di cui stai parlando), però la parte italiota sarebbe potuta (e forse dovuta) essere più corposa.
Capisco che, prima o poi, uno vuole salvare il file sul disco, portarlo in copisteria, scegliere copertina cartonata e letterine per incidere il proprio nome. Lo capisco perché ci sono passato anch'io con la mia di tesi.
A volte avresti 1000 altri argomenti che vorresti inserire, ma stai facendo una tesi di laurea per un fottuto pezzo di carta, mica l'enciclopedia definitiva sul tuo arogomento favorito.
Prima o poi il punto ce lo devi mettere alla fine di una frase.

Si facci una domanda e si dii una risposta!
Nelle ultime pagine della tesi ci sono, com'è giusto essendo una tesi, le "domande" principali, nonché un abbozzo di "risposte".
La controcultura punk, dove cazzo vuole andare a parare? se il punk non riesce (o non può) a incidere sullo stato di cose presenti, sulla realtà che lo circonda, che si fa?
Un punk anarchico deve passare alla lotta armata? Il "no future" passa per l'ago di una siringa? la rovina a un concerto hardcore è solo un piacevole intervallo prima di mettere la testa a posto e la cravatta al collo?
Forse tutto questo, o forse niente di tutto questo.
Forse è già tanto se il punk riesce a segnarti a livello personale, ad essere un qualcosa che c'è quando scegli cosa fare della tua cazzo di vita, ad essere una lente, sporca e magari distorta, con cui guardi quello che succede intorno.
Per il Barista, infine, una delle caratteristiche principali è che il punk ha segnato la Cultura, quella con la "C" maiuscola, e spiega anche perché.
Io sono assolutamente daccordo e, aggiungo, non me ne stupisco.
Se togli il punk, negli anni 80, non c'era NIENTE.
E come il punk, dopo, probabilmente, non ci sarà più niente.

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