PER LE STRADE DI LAMBROOKLYN

PER LE STRADE DI LAMBROOKLYN
Mezzanotte di fuoco a Lambrooklyn
ovvero:
La più grossa rissa al Leoncavallo


"Stanno scassando Sbokko!" è l'urlo che sento due secondi prima di vederlo volare all'indietro, sopra le teste delle persone in coda, dai gradini dell'ingresso di Via Leoncavallo ventidue.

Rewind.
Play.

Pank al Leoncavallo non è mai stata una storia di leggiadra convivenza e scambio di amorosi sensi. Spesso gli anfibi e le allstar sono risuonati tra le umide pareti di via Leoncavallo.
Spesso nonostante, se non tutto, almeno molto.
Ma keep on keepin' on e vaffanculo. Siamo al mondo mica per farci i pompini a vicenda, e comunque alla fine un po' si è dato e un po' si è preso. In tutti i sensi.
Il 1987-88 era stato un anno denso. Io e Paolone avevamo messo assieme un bel po' di concerti, più o meno uno ogni mese. A cazzi nostri, con i gruppi delle sale prova del Leo, con gli allora giovani occupanti della casa di Piazza Aspromonte.
Toxic Reasons, Zero boys, Accused, RKL, Ludichrist, Fugazi, Scream, Nog Wat, Instigators, Negazione, Impact, Upset Noise, Kina, Chrash Box e molti altri, prima e dopo quello di cui parlerò.
I gruppi americani andavano bene. I gig più affollati tiravano 2000 persone da tutta Italia, i gruppi erano contenti, i kids erano alright e la nostra musica non era (ancora) in mano ai pescecani.
A quell'epoca il concerto al Leoncavallo era, spesso, l'unico concerto italiano per i gruppi stranieri. E se non era l'unico era quello che ripagava la maggior parte delle spese del tour.
Mettere in piedi un concerto punk al Leo negli anni 80 non era una cosa semplice, come già avevano sperimentato quelli dell'Helter Skelter.
Dovevi andare all'assemblea di gestione e smazzarti il lato "politico" della questione, smazzarti tutti gli sbattimenti per preparare i manifesti, stamparli e attacchinarli, accordarti con il service per l'impianto, trovare chi ospitasse i gruppi per la notte, sistemare le attrezzature non funzionanti e recuperare pezzi mancanti, insomma tutte le cose che si devono fare per mettere in piedi un concerto.
Oltre, vabbè, a toglierti dalle ruote i bastoni che qualche compagno si pregiava d'inserire.
Problemi? Più d'uno. Quelli tecnici erano comunque risolvibili, altri costavano più fatica.
E il comitato di gestione non è che si faceva esattamente in quattro x aiutare. Giusto qualcuno/a.

Tanto per cambiare, anche per il concerto dei canadesi NoMeansNo, dovemmo fare tutto da soli: Paolone e io ci smazzavamo l'assemblea del Leo, Stiv faceva il poster del concerto, lo portava dal tipografo, lo ritirava e lo portava al Leo, sempre io e paolone ci facevamo i giri di attacchinaggio (gli attacchini del leo andavano raramente oltre Piazzale Loreto), gli sbattimenti tecnici, il montaggio del palco, ecc.
Ma quella sera c'era elettricità nell'aria, e non era solo quella che faceva bzzzzzz dai Cabotron sul palco.
Da qualche tempo la gente che girava intorno al Leo era aumentata, sopratutto quel magma che comprendeva alcuni di Via dei Transiti, i collettivi autonomi universitari, quelli di Aspromonte e svariati cani sciolti.
E il comitato di gestione non sembrava esageratamente felice.
Oddio, alcuni, i più vecchi, avevano buona parte degli amici e compagni sbattuti in galera solo pochi anni prima ed erano, per lo meno, lievemente sospettosi con le facce nuove.
Alcuni, invece, avevano altre questioni (politiche? Personali? Boh. Io all'epoca pensavo all'accacì e certe sottigliezze mi sfuggivano, come, del resto, mi sfuggono tuttora) in sospeso, da risolvere.

Ma torniamo al concerto, che quella sera era quello dei canadesi NoMeansNo. All'epoca mi sembravano vecchissimi anche se, probabilmente, non avevano nemmeno 40 anni. Ma aspettiamo a tornarci, che prima c'è il gruppo spalla.
Il gruppo di spalla non era esattamente il più adatto alle sottigliezze musicali e alla profondità dei testi dei vecchi nordamericani. Erano gli Ifix Tcen Tcen.
Ifix Tcen Tcen era il grido "di battaglia" di Supersex, pornosupereroe impersonato dal buon vecchio Gabriel Pontello, eroe, sopratutto, di tutti i teens dell'epoca che si sfiancavano di pugnette nei cessi delle scuole italiche, nei primi anni 80.
Gli Ifix erano l'ennesimo parto della mente degenerata e malsana di Luca Abort, un punk torinese che aveva terrorizzato, anni prima, tutti i concerti dei licei sotto la Mole al grido di hits senza tempo come "Io non mi alzo in pullman" e "la sfiga della suora", alla testa dei Blue Vomit (tutto ciò a più o meno 15 anni).
Naturalmente, erano troppo ignoranti e fieri per suscitare enorme ammirazione tra gli intellettuali della scena.
Gli Ifix facevano hardcore, con testi tra il demenziale e l'assurdo, con cover di spot pubblicitari, disco music e altro.
Se vogliamo chiamare hardcore demenziale qualcosa che unisce la demenza degli Skiantos (è inutile menarsela, che certe cose le hanno inventate loro...) all'accacì che piaceva a noi ggiovani, c'erano solo pochi gruppi: Ifix Tcen Tcen, Paolino Paperino Band e pochissimi altri.
Se i Paolino Paperino Band erano dei grandi e potevano cagare in testa a Elio e Le Storie Tese in ogni momento, gli Ifix erano qualcosa di diverso.
Coi Paolino ti divertivi e stavi meglio.
Con gli Ifix ti divertivi ma, no. Non stavi meglio. Avevano sempre quel qualcosa di fondo che ti metteva a disagio.
Quel qualcosa che poi sarebbe venuto fuori maggiormente con i Nerorgasmo.
Quel qualcosa di malsano che forse, a Torino, si respira nell'aria.
Quel qualcosa in cui Abort era, indiscutibilmente, maestro.
Quel qualcosa che, in fondo, è l'essenza del punk.
Gli Ifix, nel pomeriggio preconcerto avevano fatto un'enorme scritta Ifix Tcen Tcen sulla parete del salone del Leo. Un tot di mesi dopo ci sarebbe stato lo sgombero del Leo e, su tutti i giornali, tra le decine di foto delle rovine del capannone distrutto dalle ruspe, un unico muro si ergeva nel disastro: quello bianco su cui era vergato l'urlo che il nerchiuto Pontello lanciava al momento della sburra.
Niente falci e martelli, niente Aut. Op., niente Fotti Il Sistema, niente frasi immortali ad eternare momenti di poesia e di lotta. Solo, enorme, IFIX TCEN TCEN, a cogliere perplessi giornalisti, politici e, pure, molti compagni...
L'elettricità era nell'aria, la tensione si percepiva, gli Ifix sul palco non potevano che essere li, pur non centrando assolutamente niente con quello che stava per succedere.
Finito il concerto degli Ifix, che non vi racconto perché ci sono cose che non si possono raccontare, è il turno dei NoMeansNo.
Intanto, fuori dal Leo c'erano un bel po' di persone.
Alla cassa e a far sicurezza all'ingresso c'erano alcuni di un collettivo di cui facevano parte alcuni dei vecchi del Leo e qualche giovane.
Qualcosa stava per succedere, qualcosa doveva succedere.
Ci voleva la miccia.

Sbokko all'epoca non era il raverpunkabbestia cagacazzo e perennemente ubriaco che è ora (Sbò, sto scherzando!).
Beh, cagacazzo lo era pure allora, ok.
Ubriaco, va bene, era pure quello.
Del resto se lo si chiamava Sbokko un motivo c'era, no?
Comunque in quegli anni lavorava come casellante in autostrada, precisamente al casello di Milano della Milano-Bergamo.
Aveva anche uno stipendio non disprezzabile, che non compensava probabilmente i tre tentavi di rapina con cannone puntato in faccia che aveva dovuto subire, però ci si pagava affitto, vizi e stravizi.
Non era uno di quelli che cagava il cazzo all'ingresso piangendo indigenza per avere uno sconto. Cacciava le quattromilalire richieste e via, verso il bar.
Quella sera però, a volte capita, non aveva una lira.
Ora, la frase che disse è una delle classiche che ha sentito centinaia di volte chiunque abbia mai fatto un turno alla cassa di un centro sociale: "Ascolta, non ho una lira, ma se mi fai entrare becco i miei amici e me li faccio prestare".
La risposta del cassiere, un compagno, certo, ma anche uno stronzo esaurito, fu quantomeno eccessiva: "Avete rotto il cazzo punk di merda! O cacci i soldi o te ne vai affanculo!".
La risposta, inoltre, fu accompagnata da uno spintone che fece franare Sbokko su gli altri in coda.
Serviva qualcos'altro per il degenero? Nei due metri quadri dell'ingresso la temperatura salì parecchio, nel giro di pochi secondi.
Urla, spinte da una parte e dall'altra, qualche pugno si stringeva, qualche stalin strisciava con quel rumore secco e duro sul pavimento, qualche cintura abbandonava l'usuale gabbia di passanti e bottoni per arrotolarsi sulle mani.
La prima tregna in faccia fu per Sbokko, poco prima di decollare dai gradini dell'ingresso verso il marciapiede sottostante.
Poi il caos. In qualche modo i cassieri riescono a spingere i più incazzati fuori dal portoncino dell'ingresso e a chiudere. Ma.
Qualcuno era già entrato. Qualcuno che si era subito preoccupato di togliere i tubi innocenti che servivano a rinforzare il portone.
Un centinaio persone spingevano da fuori. Una decina da dentro. E i tubi? Al momento non si trovavano.

"Stai ricevendo quello che vuoi?
e stai ricevendo quello di cui hai bisogno?
ho sentito dire che l'amore è sacro
ma da nessuna parte sta scritto che è garantito
Chi decide cosa succederà?
e chi decide a chi?
è solo uno stupido giochino?
o solo una brutta piccola guerra?
Sei stanco e stufo delle solite vecchie cose?
o sei abbastanza felice?
quando così tanto diventa così poco?
quando troppo poco diventa troppo?
quando così tanto diventa così poco?
quando troppo poco diventa troppo?"
(NoMeansNo - Stocktaking)


Dentro, i NoMeansNo continuavano a suonare.
Dentro, davanti al palco, chi era già entrato pogava sul punk non convenzionale dei canadesi.
I cabotron sparavano i loro onesti watt verso le mille persone che riempivano il capannone, basso, chitarra e batteria avvolgevano e riempivano il salone.
Da dentro nessuno si accorse di niente di quello che succedeva fuori.
Qualcuno, però, si accorse presto che qualcosa stava succedendo. Forse perché l'amplificazione di un gruppo punk non poteva coprire il rumore di un portone di ferro di 3 metri per 4 che, spinto da un centinaio di persone, sbatte contro le pareti. Forse perché una rissa di un centinaio di persone che attraversa la sala è un tantino più intensa di qualunque violent dancing. Forse perché non capita tutti i giorni di vedere quelli che, alla cassa del Leo, cagavano il cazzo a tutti, buttati fuori nel cortile e lì chiusi.
Fra le facce note di chi stava sfondando c'era la gente che di li a poco avrebbe gestito il Leo, ma non solo loro. Dal Ticinese, da Bonomelli, da altri posti. Gente che già qualche volta con certe situazioni ci aveva rimesso le corna. Qualche conto veniva regolato.
Quella sera (e anche in qualche sera di assemblea successiva) cambiava la gestione del Leo.
In meglio? In peggio? Boh.
Comunque, al Leo ma anche in molti altri posti, i concerti punk / hc rimasero ancora a lungo. Ma sempre un dito in culo da organizzare.
Ma non è tanto una questione del posto dove si fanno certe cose.
E' che da una parte e dall'altra, da chi vive o ha vissuto questa scena a chi lo considera un ignobile rumore, è sempre stata di più la gente che abbaia di quella che poi, effettivamente, morde.

Commenti

  1. bellissimo post.
    e bellissimo blog.

    mi abbono.

    saluti

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  2. Cazzo che serata quella! Come fosse ieri. Ma scusa, come secondi non cerano gli Irah o qualcosa del genere? Gli ifix non mi avevano entusiasmato, la rissa si! Bravo vandalo

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  3. Anonimo6:44 PM

    Bellissimo articolo
    Valerio Batterio chitarrista IFIX TCEN TCEN

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