COLPENDO AL CUORE DI MILANO

Quando fai qualche pezzo, ma anche quando fai qualche semplice tag, ci sono alcune scale di valori.
Una tag fatta sul muso del treno della metropolitana "vale" di più di una fatta all'interno di una carrozza. Un pezzo fatto in una via dove non passa nessuno "vale" meno di uno fatto in una strada di grosso traffico.
Insomma, nella gerarchia, conta di più il pezzo visibile dal maggior numero di persone e quello nella posizione più difficile da raggiungere, di un pezzo poco visibile o in posti "facili".
Quello che "vale" di più e fare qualcosa dove nessun'altro è mai arrivato.
Quanto scritto è esclusivamente per far capire il senso di quello che state per leggere.


E' l'una di una notte primaverile del 1990, mentre con G entro in un palazzo di Via Foscolo.
Via Foscolo è una vietta di fianco alla Galleria Vittorio Emmanuele. La Galleria è il "salotto buono" di Milano, la sede di negozi e ristoranti di lusso, dove, da secoli, passeggia la borghesia milanese.
A pochi passi c'è Palazzo Marino, il Duomo, la Scala.
Quello che stiamo per fare è una di quelle cose senza senso, grosso rischio e nessun guadagno: voglio fare una tag sulla cupola della galleria.
Il percorso lo abbiamo pianificato, abbiamo solo da metterlo in pratica.
Saliamo al settimo piano con l'ascensore, da li ci dirigiamo verso la scaletta che porta al tetto. La scaletta è protetta solo da un cancelletto basso, saliamo in piedi sul corrimano della scala e siamo dall'altra parte.
Salita la scala arriviamo alla porta che da sul terrazzo e il tetto. La porta è chiusa a chiave, ma è una vecchia porta con una serratura semplicissima a scatto, dall'interno è facilissimo aprirla. Ci basta mettere un blocco per impedire la chiusura della stessa una volta usciti, dato che dall'esterno l'unico modo per entrare sarebbe scardinandola.
Una volta sul terrazzo lo percorriamo tutto. E' una specie di quadrato, con il lato interno che da sul tetto della banca posta al piano terreno, e l'esterno sulle vie adiacenti.
Dobbiamo fare quasi il giro completo per salire sulla copertura della scaletta che abbiamo appena lasciato. Da questo lato è più semplice, la grondaia è un ottimo appiglio.
Una volta sul tetto arriviamo a una grossa recinzione, di quelle piene di spuntoni, che separa l'edificio da quello adiacente. Da qui inizia la parte più rischiosa, perché una volta superata la recinzione quello che faremo sarebbe "violazione di proprietà privata".
A questo punto, inoltre, inizia la parte difficile del percorso: per oltrepassare la recinzione dobbiamo andare sul parapetto del tetto, scavalcarlo, camminare sul cornicione tenendoci agli spuntoni della recinzione. Per fortuna all'epoca eravamo abbastanza allenati.
Io decido comunque di lasciare giù lo zaino con le bombole, troppo rumorose e ingombranti. Mi porto solo il fido marker a punta grossa caricato a "nero inferno".
Nessuno intanto passeggia nella via, 25/30 metri più in basso.
Una volta sull'altro lato dobbiamo risalire di un paio di metri arrampicandoci sulla recinzione, infatti siamo sul terrazzo, all'ultimo piano di un palazzo per uffici, e ci sono 2 telecamere puntate verso le ampie porte finestre.
Le telecamere probabilmente riprendo anche parte del tetto sopra le porte finestre, per cui non possiamo passare da li. L'unica via è una lunga trave, larga 70/80 centimetri che corre un paio di metri sopra il parapetto, intervallata da colonne e ricoperta di marmo bianco.
Iniziamo a percorrere la stretta passerella, con il vuoto da una parte e il terrazzo con le telecamere dall'altra. A metà percorso dobbiamo spalmarci a terra sulla passerella. Nella via sta passando un gruppetto di persone, ed è meglio evitare di farsi vedere qui sopra. Sfortunatamente, decidono di fermarsi a chiacchierare sull'angolo della strada, in una posizione dove saremmo perfettamente visibili se alzassero lo sguardo.
Sono già passati una decina di minuti, e quelli non accennano a muoversi. Decidiamo quindi di muoverci noi. Strisciando lungo la passerella, cercando di muoverci lentamente e tenendo d'occhio il gruppetto per vedere se guardano su. Quando arriviamo alla fine della passerella, dopo un'altra decina di minuti, il gruppetto si muove.
Appena in tempo. Perché a quel punto siamo costretti ad alzarci, dato che dobbiamo passare all'edificio adiacente.
L'edificio è una vecchia casa popolare, ad angolo tra il palazzo per uffici e l'edificio della galleria, e la rottura di coglioni è che ha il tetto spiovente in coppi e il solito canale in rame sui bordi. Ci spostiamo dove esce dal muro il gancio che regge la grondaia. E' il punto più robusto e riesce a reggerci mentre ci arrampichiamo sul tetto.
A questo punto dobbiamo percorrere 6/7 metri sul tetto inclinato. I coppi resistono bene, non si muovono e non sono nemmeno scivolosi. Per fortuna non piove, se no sarebbe stato impossibile camminarci sopra.
Il tetto finisce sopra un'altra tettoia che copre la scaletta che dal palazzo porta al tetto della galleria.
Qui dobbiamo scavalcare una semplice rete metallica, di quelle a rombi, tipo le reti dei pollai. E' una semplice rete ma, finalmente, facciamo un pezzo senza il baratro di fianco.
Percorriamo la tettoia e arriviamo di fianco al frontone che sovrasta l'arco laterale dell'ingresso alla galleria. Da dietro al frontone è facile scendere, grazie alle modanature e alle decorazioni, fino alla scaletta che porta alle passerelle che corrono lungo le volte vetrate della galleria.
La copertura, infatti, è composta da quattro volte "a botte" che si incrociano in corrispondenza della cupola centrale.
Queste volte curve sono composte da una struttura metallica imbullonata (tipo la Torre Eiffel di Parigi, per capirsi) e coperta di pannelli di vetro armato.
Il vetro armato è un vetro spesso irrobustito da una rete metallica. All'epoca della costruzione della galleria era usato perché resisteva agli urti, tipo grandine, e perché la tecnologia non permetteva altro.
Nella parte superiore di queste volte, quindi anche in quella che dobbiamo percorrere, ci sono due passerelle metalliche che corrono lungo la base della volta e una sulla sommità, collegate a metà della lunghezza da una scaletta ad arco che attraversa tutta la volta e collega tutte le tre passerelle.
Purtroppo la scaletta è solo a metà galleria, per cui dobbiamo fare la prima parte sulla passerella bassa. Dico purtroppo perché questa passerella passa a pochi metri dalle finestre dell'edificio. Se alcuni sono uffici a quest'ora chiusi, altri sono appartamenti abitati e, un paio, illuminati.
Cominciamo a camminare sulla passerella che rumoreggia come un terremoto in una ferramenta. I primi metri sono tranquilli, passiamo 3 o 4 finestre con luci spente. La successiva è un soggiorno, dove un ciccione sta guardando la tv dando la schiena alla finestra. Cerchiamo di fare meno rumore possibile, ma quando lo vediamo alzarsi il cagotto s'impone prepotente. Siccome siamo scemi, non stupisce che, al momento in cui l'adiposo teledipendente assume posizione verticale, noi corriamo sulla passerella ridendo come deficienti, creando un immondo fracasso.
Nessuno corre alla finestra. Nemmeno l'ultima, dove un paio di persone bevono sedute a un tavolo.
Saliamo la scaletta e ci troviamo sulla cima della volta laterale. Continuiamo dritti, fino alla base della cupola. Da qui una scaletta verticale ci porta a una passerella che circonda la base della cupola. Da questa passerella è possibile guardare sotto, verso il centro della galleria. A occhio saremo a una 40ina di metri da terra e, contando che siamo su una passerella di ferro circondati da pannelli di vetro, la cosa fa una certa impressione.
Mi arrampico sull'ultima scaletta, che porta a un terrazzino tondo, sempre di ferro, in cima a cui c'è un'asta portabandiera.
Con un colpo di classe finale, tiriamo fuori la bandiera dei pirati che abbiamo portato e la issiamo sul pennone. A turno ci facciamo la foto ricordo, poi propongo di lasciare il jolly roger sul pennone, ma G non ci sta.
Vabbé, la bandiera è sua, quindi la discussione è breve assai.
Io estraggo il mio marker e appongo un paio di "Vandalo" sui ferri del corrimano.
Quando decido di aggiungerne uno sul vetro della cupola, scritto ribaltato, con l'idea risibile che si possa leggere da sotto. Rimango però vittima dell'inquinamento cittadino: i vetri sono coperti da una patina untuosa e sabbiosa e il pennarello smette di scrivere.
Vabbè, due tags le ho lasciate. Come succede ogni volta che si fa qualcosa di rischioso, quando si finisce si ride come scemi e, scesa l'adrenalina, scappa da pisciare.
Pisciare dalla cima della galleria è qualcosa di speciale, giri intorno e ti sembra di pisciare su tutta Milano: sei lì, sopra tutto e tutti, ci sono si alcuni grattaceli più alti in lontananza, ma in quasi tutto il centro no.
Se guardi verso Piazza Diaz, oltre Piazza Duomo ti sembra pure di pisciare sul monumento ai CC...
Per non perdere l'occasione, una spruzzata pure giù in galleria, va.
E' ora di tornare, dobbiamo rifare tutto il percorso all'inverso e, avendo fatto quello che dovevamo fare, il rischio è di essere troppo rilassati e disattenti.
Sorprendentemente, li sopra, nel posto più in vista di Milano, non ci ha ancora visto nessuno.
Ridiscendiamo la cupola, le scalette, la passerella in basso, la scaletta della volta del braccio laterale e siamo di nuovo sulla passerella davanti agli appartamenti. Questa volta le luci sono tutte spente e tutto è tranquillo.
Come sempre succede in questi casi, la Legge di Murphy colpisce inesorabile.
"Se qualcosa può andare male, lo farà". Mentre siamo a metà passerella, nel silenzio totale, a causa delle vibrazioni del nostro passaggio sulla passerella, si stacca una placca di ferro che scivola sulla superfice fino alla gronda di scolo dell'acqua.
Se nella scivolata il rumore era ridotto, colpendo la gronda un boato assordante e metallico rompe il silenzio. Si accendono un paio di luci nelle stanze, si sentono voci e rumori di persone.
Noi non ci facciamo prendere dal panico. Ma da un fottuto cagotto.
Gli ultimi dieci metri di passerella li facciamo correndo. Arrivati in fondo risaliamo il frontone a forza di braccia, risaliamo sulla tettoia della scaletta, ci buttiamo sulla rete metallica e, con una mezza rovesciata siamo sul tetto in coppi. Qui dobbiamo andare piano per forza, perché se no rischiamo di trovarci di sotto. Grondaia, appoggio sul bordo, gancio a muro, discesa a forza di braccia sulla trave di marmo del palazzo a uffici.
Percorriamo tutta la passerella a quattro zampe e arriviamo alla recinzione con l'ultimo tetto, quando vediamo i lampeggianti arrivare da Via Hoepli. Abbiamo appena il tempo di sorpassare la recinzione per poterci nascondere sul terrazzo, ma mentre attraverso il marker si sfila dalla tasca e decide di precipitarsi 30 metri di sotto.
Mi rendo conto di dove mi trovo, aggrappato alla recinzione con metà del corpo oltre la grondaia, sentendo il tempo che passa tra il momento in cui il marker tocca il mio piede cadendo e e quello in cui, con un secco TAKK, sbatte sul marciapiede.
Ma non ho il tempo di fare filosofia. Sono di nuovo oltre la ringhiera, sul tetto del locale macchine dell'ascensore dove mi sta aspettando G. Salto un metro più in basso sull'altra tettoia e poi un paio di metri ancora per arrivare sul terrazzo. Recupero le bombole che avevo lasciato lì all'andata.
Ci nascondiamo dietro il parapetto quando la volante è proprio sotto di noi.
Nel frattempo noi ripercorriamo tutto il terrazzo e raggiungiamo la porta che avevamo lasciato aperta, leviamo il blocco e richiudiamo a scatto.
Scendiamo al piano di sotto e guardiamo da una finestra per dare un'occhiata giù in strada.
La volante è ferma e quattro sbirri stanno parlando tra di loro guardando le volte della galleria. Intanto vediamo che, dai pochi appartamenti abitati nei palazzi circostanti, spunta qualche testa. Ci sporgiamo anche noi per vedere meglio.
Un paio di sbirri sta salendo nel condominio all'angolo.
E' incredibilmente una casa di proprietà del Comune che viene visitata spesso dalla polizia, infatti, essendo il portone sempre aperto, capita che sui pianerottoli ci vada a dormire qualche barbone o a pungersi qualche toxico.
La volante è ferma a pochi metri dal portone, quindi, con G, decidiamo di scendere dall'altra scala del palazzo. Attraversiamo il corridoio che le collega, andiamo sul pianerottolo e, dalla finestra, vediamo che la strada è vuota.
E' il momento giusto per scendere. Mi do una ripulita, che tutto lo strisciare sui tetti mi ha lasciato sgommate di lerciume dappertutto, mi cambio la t-shirt con una di scorta e mi preparo a scendere. Arrivato in strada niente in vista, ma la volante è dietro l'angolo. Vedo i lampeggianti riflessi dalla vetrina di un negozio.
Ci allontaniamo, per ritornare in zona un'ora dopo a vedere se succede qualcosa.
Non c'è più nessuno.
Sotto il cordolo del marciapiede trovo il mio marker, ammaccato.
Un po' di alcool, una ricarica di "nero inferno" e sarà pronto di nuovo.

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