PER LE STRADE DI LAMBROOKLYN - "Drinking And Driving"

Alle sette di mattina di un Luglio talmente caldo e afoso da scivolarti addosso come una bollente lumaca che ti ricopre di bave sudaticcie, io e Cyco Miko decidiamo che ne abbiamo abbastanza del safari alcolico per le strade di Milano.

Alle sette della sera precedente, chiusa la serranda di Riot Records e saliti sulla mia rossa e scassata Ford (che avrebbe concluso la sua faticosa esistenza in un rottamaio di lì a pochi mesi), ci siamo diretti per l'aperitivo nel solito bar, che all'epoca era un locale dal nome sudamericaneggiante in Piazza Morbegno.
L'appuntamento successivo era per le 21.30, al Rainbow, l'ex gloriosa discoteca Odissea 2001, teatro di smazzi, scazzi e chiavate nei cessi tra punk, paninari, new wave, dark e metallari nei merdosissimi anni 80.
Dovevamo, come tante altre volte, lavorare alla security in un concerto di un qualche gruppo hardcore americano.
Ma siamo ancora tra le sette e le otto di un'afosissima sera. Arrivati al bar dell'aperitivo, dopo un'improbabile parcheggio in triplo carpiato con doppia freccia e ruota sulla rampa disabili del marciapiede, entriamo a goderci la gelida aria condizionata del locale.
Il solito angolo, il solito tavolo, il solito Cuba Libre con le solite pizzette e tartine dal sapore cartonato sempre uguale.
Nel locale, gente di quartiere. Tutti nati da qualche parte nella ragnatela di Milano ma cresciuti nel triangolo tra Viale Monza e la stazione di Lambrate.
Nel locale, ovviamente frequentato da interisti e milanisti, dove la presenza di altra tifoseria è meno considerata di un cinese che gira tra i tavoli vendendo accendini a forma di water, le chiacchiere e gli sfottò si susseguono a ripetizione, come solo il sabato sera prepartita consente.
Ma le cose sono cambiate negli ultimi anni. I quartieri iscritti nel tridente Viale Monza, Via Padova, Via Costa/Leoncavallo, con l'appendice di Piazza Aspromonte fino a Via Pacini e la Stazione di Lambrate non sono mai stati quartieri tranquilli.

La zona di Lambrate è storicamente rossa e proletaria. Da qui sono venuti quelli della Banda Bellini, qui è nato il Leoncavallo, da qui se ne sono andati, in un feretro seguito da centinaia di migliaia di persone, Fausto e Iaio. Tutte le zone intorno all'anello ferroviario, tra Lambrate e Greco, sono sempre stati quartieri di lotte partigiane. Il nome di strade come "Rimembranze di (Lambrate, Greco)", o di strade con nomi di partigiani uccisi, di luoghi di resistenza, si ripetono in tutti i quartieri, dove i nazisti rastrellavano e fucilavano sul posto e i bombardieri americani scambiavano scuole per fabbriche di armi (probabilmente nemmeno 60 anni fa avevano le bombe intelligienti...). In ogni via c'è una corona di fiori per un partigiano ucciso, in ogni casa un parente partigiano, in alcune cantine murate, tuttora, bidoni e casse di armi e munizioni. Pure il vecchio prete della chiesa del Casoretto, quello che rompeva le palle se scappava una bestemmia nel campetto dell'oratorio, era stato un partigiano.
Ma adesso, tra il terrapieno della Stazione Centrale e quello della Stazione Lambrate, non si fa più la rivoluzione. I vecchi proletari milanesi, operai alla Pirelli in Bicocca, alla Falk di Sesto S. Giovanni, alla Breda tra Sesto e Greco, alla Rizzoli di Crescenzago e in tutte le piccole e grandi fabbriche del far est milanese non ci sono più. O sopravvivono con pensioni ridicole o riposano ad aeternum, magari al cimitero di Lambrate, posto tra uno dei fiumi più inquinati d'Italia e la Tangenziale Est.
Dagli anni 60, le terre di nessuno, quelle che in ogni città sono sempre dietro una qualche ferrovia, sono state riempite da gente del sud. Pugliesi, siciliani, calabresi. E immigrati: i primi "negher" che si sono visti a Milano, gli Eritrei, avevano il loro punto di ritrovo e di prima accoglienza al Leoncavallo.
Negli anni 90, con l'esplodere dell'immigrazione, è arrivato un pò di tutto: egiziani (sono loro che cucinano il 90% del pane e della pizza che si mangiano all'ombra della Madunina), marocchini e nordafricani, Peruviani e sudamericani, vari ex-sovietici, slavi, albanesi, kossovari.

Anche nel locale dove siamo seduti, sorseggiando già il secondo Cuba Libre, ci sono diversi immigrati. Qui in zona ci sono tanti arabi e nordafricani, ma ultimamente tanti Kossovari.
E con loro sono arrivati anche problemi, nella fattispecie scaramucce di clan per il controllo dello spaccio e della prostituzione.
Nel locale, tolta l'afa da un'efficace aria condizionata, si respira comunque tensione: pochi giorni prima un tipo ubriaco, piccolo spacciatore della zona, era stato accoltellato nella piazzetta qui fuori mentre stava uscendo dal locale, si pensa, si mormora, si dice (si sa), da alcuni kossovari.
I kossovari in quartiere stanno sul cazzo a tutti, danno fastidio a tutte le donne, spiano i "movimenti" di tutti gli altri, immigrati e non, cercano sempre di fotterti e generalmente rompono i coglioni. Addirittura un vecchio anarchico del quartiere, ottimo bevitore con lunga carriera davanti ai banconi della zona, appassionato di lirica nonché milanese verace, ha organizzato in un bar di Viale Monza un "scuela de milanes per terun" a cui si sono iscritti pure svariati immigrati per imparare una lingua che i kossovari non riescono a capire.
Non è raro vedere pugliesi che salutano marocchini con un "Ueh, Alì! Se vedum duman de drè al Casoretto!".
Ma i movimenti continuano, e un accoltellamento in quartiere porta sempre una dote di un tot di giorni di sbirri per le strade.

Al terzo Cuba Libre io e Cyco Miko decidiamo di muoverci, sono le nove di sera e tra mezz'ora dobbiamo essere in Via Forze Armate, alle porte di Baggio. Dall'altra parte della città.
Mentre stiamo finendo gli ultimi sorsi la sbirraglia entra nel locale per i soliti controlli. Naturalmente chi non voleva farsi trovare era già uscito appena visti i lampeggianti arrivare in Piazza Morbegno.
Nel locale rimaniamo in una ventina di persone, e a 3-4 per volta uno sbirro ritira i documenti e torna all'auto per controllarli sul computer di bordo.
Sembra facciano apposta a muoversi lentamente, stiamo perdendo tempo, già sappiamo che arriveremo in ritardo al Rainbow.
Arrivano a noi per ultimi e gli consegnamo i documenti. Quando il cane blu inserisce i dati del "buon vecchio compagno di mille battaglie" il computer si mette a sparare lucette come un flipper impazzito. Probabilmente se sei un mafioso o uno stupratore quel programma emette un semplice "ping", ma se hai fatto un pò di attività politica sei EVIDENTEMENTE un criminale pericoloso.
Ma tant'e'. Non hanno un motivo per cagarci il cazzo ma ce lo cagano lo stesso. Non potendo farci nulla se non romperci i coglioni, ci restituisco i documenti per ultimi e molto, molto lentamente.
Cyco Miko, che considera offensivo il fatto che uno sbirro sbarbatello qualunque gli cachi il cazzo, mentre usciamo dopo aver ricevuto i documenti, non si trattiene dal dirgli "E finalmente, ma guarda te! mica si può perdere tutto 'sto tempo con queste cazzate! qua c'e' gente che lavora!". Gli sbirri sono gente lenta, sopratutto se vogliono fare i duri con gli occhiali da sole alle 10 di sera, e prima che questo pensi una risposta siamo già fuori e lo mandiamo a bafangulo.

Recuperiamo el coche rojo e siamo per strada. Abbiamo un'ora di ritardo e si avverte l'organizzazione di quello che ci e' successo.
Viaggiamo verso la circonvallazione e attraversiamo la galleria della Centrale. All'incrocio con Via Gioia il solito intasamento, le solite centinaia di auto dirette alle mete del divertimentificio milanese. Continuiamo incrociando Viale Sarca e Viale Zara, poi giù verso Piazzale Maciacchini, sede di ramadan islamici e locali di nazi. Continuiamo verso la Bovisa e Piazzale Lugano.
Piazzale Lugano non e' mai cambiata, sempre lo stesso palazzone delle poste, sempre gli stessi stitici giardinetti dove giocavo a calcetto negli anni della scuola media, sempre gli stessi anonimi palazzoni popolari coperti di insegne al neon. Pure la fermata del filobus è rimasta la stessa. Forse hanno dato una mano di vernice sul palo scrostato dal proiettile che uccise Luca Rossi, sparato dal solito sbirro/vigilante, naturalmente rimasto impunito. Ma il nome di Luca oramai non lo conosce piu' nessuno, a parte i compagni e gli amici che lo ricordano ogni anno.
Sul ponte di Viale Monte Ceneri il comune non ha messo ancora gli autovelox e tutte le auto volano a 100-120 all'ora sugli strettissimi 5 metri d'asfalto che corrono all'altezza del secondo piano dei palazzi.
Il Palalido, Piazzale Lotto con l'usuale fauna di spacciatori, mignotte e gente che s'arrangia, Piazzale Brescia, ancora altri viali e incroci, fino all'angolo della Baggina, terminal dei vecchi che nelle famiglie d'origine rompono il cazzo. Da lì, dritti, fino a incrociare Via Forze Armate poco dopo l'angolo con Piazza Bande Nere.
Un centinaio o poco più di metri prima dell'Ospedale Militare (dove tutti gli antimilitaristi milanesi hanno passato qualche giorno, dopo la maggiore eta'), la piazzetta del supermarket di fronte al Rainbow.
Ci facciamo largo tra la folla che si ammucchia davanti alla porta ed entriamo.
Suonano un paio di gruppi hardcore americani, di quelli che attirano folle di adolescenti ma che a me non ricordano per un cazzo Black Flag, Circle Jerks, Adolescents e simili.
Il conceto non e' ancora iniziato, per cui abbiamo ancora il tempo per piluccare qualcosa del catering, berci un ruhm liscio con bottiglia di minerale, fumarci una Diana e rilassarci.
Quando il primo gruppo sale sul palco mi avvio davanti per fare la sicurezza sotto palco, dietro alle transenne.
Il lavoro, principalmente, consiste nel prendere al volo le persone che si lanciano sul pubblico, tirarle dietro le transenne e farli uscire di lato.
Per anni sono stato uno di quelli che facevano stage diving, per cui so come comportarmi.
A fine concerto conto solo 4 o 5 tra lividi e abrasioni su petto e braccia, niente di che. Ai Cro-Mags mi era andata peggio, grondavo sangue per qualche calcio volante o qualche punkabbestia troppo borchiato. A Dee Dee Ramone, oltre a litri di sudore spesi e persone da prendere al volo due alla volta, mi sono preso una scarpata in faccia, con un livido che ci ha messo una settimana ad andare via. Ma con Dee Dee la cosa piu' faticosa era tenere a freno i fan che volevano autografi, la playlist, il plettro, i feticci vari. Che cazzo vi ascoltate punk a fare se avete lo stesso atteggiamento dei fan di una boy band?
Vaffanculo, abbiamo finito. Mentre i tecnici smontano l'impianto e caricano i furgoni scambiamo 4 chiacchiere con i gruppi e ci beviamo un paio di birre.
E' piu' o meno mezzanotte o l'una quando finiamo.
Di tornare a casa non c'e' voglia per un cazzo, il concerto non è stato faticoso, per cui risaliamo in macchina per andare sui navigli.

All'una e mezza siamo in Via Gola, al Totem. Il Totem e' praticamente una seconda casa, i frequentatori storici (e pure i gestori) sono tutti amici che si conoscono da sempre, piu' o meno tutti reduci della scena punk/hardcore/autonomen degli anni 80, ex frequentatori del Virus e del Leoncavallo. Gente cresciuta con noi e come noi.
Ma gli anni passano e ogni volta che ci entro non posso fare a meno di pensare alle osterie di Milano fino a 10/20 anni fa, o ai bar di paese, con i vecchietti che giocano a briscola e si conoscono da sempre. E mi rendo conto che non significa un cazzo avere la cresta viola a 18 anni, piercing e tatuaggi. Tutti quanti "tifavamo rivolta", tutti quanti facevamo qualcosa, occupavamo case e centri sociali, tutti quanti suonavamo in qualche gruppo, tutti quanti avevamo la nostra colonna sonora, ma nell'attesa del gran finale siamo li, che giochiamo a freccette, che beviamo birre o shot di rhum, che ci raccontiamo cazzate per ore.
Ribelli in bretelle e scarponi con moglie e figli a casa a dormire, dreadlocks di un metro con i primi capelli grigi, un camion fuori parcheggiato in seconda fila che tra un'ora salpa per Madrid e il camionista, colonna del thrash metal milanese, che si beve l'ultima birra prima di partire.
Reduci di nessuna guerra ma lo stesso pieni di morti e feriti nelle nostre fila.
Ma una guerra c'era, e si chiamava anni 80. Gli ex sessantottini preparavano l'assalto alle poltrone dello stato, i settantasettini marcivano in galera o in una via buia piena di piscio, con un ago nella vena. Noi facevamo schifo a tutti, troppo caciaroni per gli intellettuali progressisti, troppo straccioni per gli stilisti trendy, troppo pochi e incontrollabili per la sinistra, troppo tutto per la destra.
Gli sgomberi degli anni 80 non venivano stigmatizzati dagli intellettuali di sinistra aperti al confronto. Forse eravamo brutti. Forse eravamo troppo poco interessanti per le pagine culturali dell'Espresso. Forse perché da Via Correggio, da Piazza Bonomelli, da Via Conchetta, da Via Leoncavallo non ci aveva buttato fuori Berlusconi ma le giunte rosa, rosse e dai mille colori di DC, PSI, PCI e Pentapartito.

Intanto i dj's di Spazio Petardo pompano l'usuale miscela di Discomusic, sigle di cartoni animati, hits anni 50, 60, 70.
Io sto ballando con la Sabri e la Giorgia. Se sto ballando significa che il livello delle bevute è finalmente arrivato al grado "divertente". Cioè sono al livello in cui me ne fotto di avere un atteggiamento cool e mi sbattacchio qua e là per il locale schizzando sudore sugli astanti come un lama impazzito.
Le due amiche sono una sicurezza quando vuoi fare caciara. Zero tiramenti, voglia di divertirsi e poche rotture di coglioni.
Intanto il livello alcolico cresce e tutti i presenti con girovita "evidente" sono sulla piccola gradinata del locale a fare i cubisti.
La cosa più divertente è vedere le facce di quelli che se la menano e cercano di mantenere un atteggiamento cool. Sfigati.

Alle tre e mezza passa l'annonaria e rompe i coglioni, anche se siamo chiusi dentro con le serrande abbassate. Quelli del Totem si sono già presi un multone il mese scorso, non vogliono ripetere.
La folla si sposta verso il Merlino & Magò, altro locale a un centinaio di metri, di fronte al Sieroterapico.
Chissà perché il Merlino riesce a rimanere aperto sempre più degli altri. La gente è comunque la stessa e l'atmosfera estiva rimane immutata. La musica però cambia, e l'hip hop mixato da Dj Rush ti lascia muovere il culo ma senza lasciarti sbracare.
Alle quattro e mezza pure il Merlino chiude e, mentre si finiscono gli ultimi resti di ganjia sul marciapiede del sieroterapico, si cerca di decidere dove andare. Qualcuno va al Tiratardi a farsi un panino fetente, qualcuno va in un locale di Corso Como.
Al Tiratardi è meglio che non mi faccio vedere, l'ultima volta che sono stato li con una tipa, sarà stato l'alcol, sarà stato altro, ci hanno buttato fuori. Ma anche se sono assolutamente innocente di alcunchè non mi piace stare in un posto dove ti guardano male.

Risaliamo in macchina e dai navigli ci dirigiamo verso Corso Como. Il posto è dall'altra parte del centro città. Sfiga. Mi ci vorranno almeno cinque minuti. Alle cinque di domenica mattina le strade sono vuote: Via San Gottardo e Corso di Porta ticinese sono un attimo, poi Via Senato, a destra in Via Turati, a sinistra sulla circonvallazione spagnola, appena dopo la discesa dei Bastioni. Arrivati in zona, mi infilo nelle viette e parcheggio alla cazzo dove trovo un buco.
Corso Como è una zona di merda piena di locali di merda. A cominciare dall'Hollywood, discoteca simbolo negli anni 80 della milano da bere e tuttora luogo preferito da veline, calciatori, modelli, cocainomani e stilisti, insomma tutta la feccia della Milano coi danee. Non si migliora con tutti gli altri locali della zona, che raccolgono gli sfigati non accettati dai buttafuori dell'Hollymerda.
Il locale in cui entriamo, porca troia, non è da meno. 50 persone stipate in un locale piccolino, una barista che prende gli ordini cash in advance, un barista che prepara i cocktail a 10 alla volta (e il sapore è quello che è) e l'attrazione del locale: tre tipe che ballano in mutande sul balcone.
Lo spettacolo, più che pecoreccio, è tristissimo. Decine di persone che fanno finta di divertirsi guardando le chiappe cellulitiche di tre romene sfigate strafatte di acidi e alcol che sembrano raccattate tra i viali della Stazione Centrale.
Io me ne resto fuori, mi bevo l'ennesimo cuba sul cofano di una Mercedes Kompressor, per il gusto di avere un sedile da un centinaio di milioni, mentre il viavai di wannabe schiuma del vippame mi passa davanti. Tutte le volte è così, arrivo, mi guardo in giro, mi sale la carogna e mi ripeto che la prossima volta che vengo qui mi porto il lanciafiamme.
Intanto anche Cyco Miko, che ha incontrato degli altri transfughi lambratesi, esce dal buco fetente. Si parla di pigliare qualcosa da bere e andare al Parco Lambro a cazzeggiare.
Qualunque cosa pur di andare via da questa strada di merda. Recupero la macchina. sfanculo quelli del Gasoline (altra discoteca trendy di merda), i quali sostengono che la mia macchina era troppo vicina al loro ingresso e, probabilmente, il muso sfondato nell'unico incidente che abbia mai fatto (l'unica volta che ero totalmente sobrio, peraltro) abbassava il livello del loro portone pisciato dai cani.

Sono quasi le sei, quando viaggiamo verso Corso Buenos Aires. Una tappa sul retro del fornaio di Via Bixio a prendere qualche focaccia fresca e qualche boccia di birra.
Di nuovo in quartiere, di nuovo nelle strade che ci hanno visto crescere.
Al Parco Lambro sappiamo gia dove andare, quella collinetta chiamata Thailandia che ai tempi del liceo aveva visto ardere le nostre prime canne, in quei giorni d'estate dove stare in classe era una prospettiva troppo deprimente.
Siamo rimasti una decina a finire le ultime canne, le ultime sigarette, le ultime birre, le ultime briciole delle focacce, spazzate via dalla fame chimica.
Siamo rimasti una decina a vedere un'alba giallastra illuminare la città mentre un sole grigio s'innalza sopra i ponti della tangenziale.
Noi siamo lì. Che teniamo la collina come quei soldati giapponesi che non hanno mai saputo che la guerra era finita, e che avevano perso. Nella pancia ci mettiamo un'altra birra però, non un coltello da samurai. Perché non abbiamo un codice d'onore e non combattiamo nessuna guerra. Siamo solo piccole pecore nere che hanno abbandonato il gregge. Ma non sono frasi memorabili, sono i deliri alcolici di chi è sopravvissuto a un'altra serata, con le ossa e i muscoli che ti urlano la stanchezza e il fegato che ti implora un pò di riposo.
E' ora di riprende la strada verso casa, mentre Lambrooklyn si sveglia nella domenica di luglio con le lenzuola appiccicate di sudore.

Alle sette di mattina di un Luglio talmente caldo e afoso da scivolarti addosso come una bollente lumaca che ti ricopre di bave sudaticcie, io e Cyco Miko decidiamo che ne abbiamo abbastanza del safari alcolico per le strade di Milano.

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