Da qualche parte ho letto che i piccioni di Milano sono stressati.
La cosa non stupisce, tra traffico, inquinamento, veleni, ecc. il rischio di essere schiacciati da una macchina, ingoiare schifezze o becchettare veleni per topi e scarafaggi è pari a quello di farzi una passeggiata per Bagdad dopocena.
Però devo fare una confessione: la colpa dello stress dei piccioni è di una sola persona.
Io.
Eppure sono sempre stato un animalista convinto. Distribuivo i volantini della Lega Anti Vivisezione al liceo. Sulla mia punkzine mettevo notizie, volantini e informazioni dell'Animal Liberation Front. Una volta ho pure partecipato a un assalto alla Sandoz nella sede vicino a Via Ripamonti.
Per un certo periodo sono pure stato vegetariano.
Poi è cominciata la guerra. Una guerra che non vincerò mai, ma che smetterò di combattere solo da morto.
Era una notte di metà anni 90 e, con l'usuale compagnia di studenti universitari che si ritrovavano nell'Aula Quarta Occupata del Politecnico di Milano, mi stavo pigliando un gelato in una gelateria.
Tra una cazzata e l'altra, ci sediamo sul gradino all'ingresso della gelateria per aspettare quelli che erano ancora in coda.
Io mi sto godendo il mio cioccolato e pistacchio quando, mentre sono girato a parlare, mi arriva uno stronzo di piccione caldo e semiliquido a spantegarsi sulla pallina marrone.
Sono conscio che siffatta visione sia atta a suscitare immediata ilarità nei presenti, del resto anch'io non posso trattenermi dal dichiarare oggettivamente comico l'accaduto. Anche se dover buttare il gelato è un pò un dito nel culo.
Ma che ce ne fotte a noi? "Il gelato, poi, non era un graché, almeno non mi è arrivato addosso" mi dico.
SPLOSCH.
SPLOSCH.
Altri due boli di melma bianchiccia mi si stampano sulla manica della t-shirt, all'altezza della spalla.
Schifo.
Sento il caldo umidiccio del guano passare le maglie del tessuto e invischiare della loro vischiosa materia i recettori del tatto nella mia pelle.
"maporcaputtanatroialuridainfamebastardahhhhh!!!!!". Questa è l'unica reazione riportabile su pagina scritta che non mi costerebbe denuncie di vilipendio a qualunque religione esistente o estinta, in essere o in divenire, sul 99% del globo terracqueo.
La scarica di bestemmie fece tremare le vetrate del vicino Cimitero Monumentale, scoperchiando pure qualche decina di tombe di alti prelati deceduti e testè seppelliti, che per non sentire siffatte volgarità trovarono rifugio nelle valli bergamasche.
Un ondata successiva polverizzò le torah tra le mani di rabbini in fuga dalla sinagoga, le cui pareti non reggevano all'onda d'urto.
Una terza incendiò in pochi secondi, tra fiamme infernali, le 18.000 bibbie conservate nel magazzino della vicina chiesa evangelica di Via qualcuno da Vimercate.
La quarta schiantò e abbattè, tra muri sfondati e lamiere contorte, la moschea della Bovisa.
Il traffico si bloccò.
I capannelli di gente che chiaccherava ammutolirono.
I treni della vicina stazione Garibaldi non si decidevano a partire.
Avevo offeso qualunque divinità, dal Walhalla ai Raeliani.
Nelle pieghe metaforiche tra il detto e il non detto il silenzio, una massa opprimente che schiacciava i presenti come un armageddeon imminente, si spandeva all'intorno.
Nella mancanza totale di suoni, voci, rumori, come un gesso sulla lavagna, rumoreggiavano i piccioni.
Indifferenti a tutto, incoscenti del loro essere causa del dramma che si stava consumando, svolazzavano in giro, si beccavano, zampettavano, ma sopratutto scagazzavano.
Per essere testimone di quest'ultimo affronto, incredulo, alzai la testa al cornicione del sesto piano, ricovero abituale degli orrendi pennuti.
SPLOSCH.
Sulla guancia destra, all'angolo della bocca, mi si aprì come una lebbra improvvisa un'orrenda macchia grigia e bianca.
Nella bocca sentii improvviso un sapore viscido e salato.
A quel punto nessuno osava ridere. Cazzo, nessuno osava nemmeno parlare.
Mentre la mano gentile di un'amica mi porgeva un fazzoletto, la mia bocca era serrata. Un pò per non assaggiare l'orrido liquame, un pò perché esaurita ogni bestemmia nella scagazzata precedente avevo paura di eruttare fuoco e fiamme.
Il quartiere ricominciò a respirare quando, di li a poco, me ne sarei andato, avviandomi verso Via Quadrio e la mia auto parcheggiata.
Auto che, naturalmente, era stata scagazzata dai piccioni. Naturalmente anche sulla portiera, proprio nel punto dove, a finestrino aperto, appoggio il braccio.
No, non c'era nessuna parola. Non servivano improperi, insulti, bestemmie.
La rabbia doveva essere incanalata in lucida vendetta.
Da allora faccio una piccola "x", incisa sulla portiera della mia auto per ogni piccione sfracellato.
Da allora vado nottetempo in Piazza Duomo con becchime tagliato col veleno per topi.
Da allora attraverso certe piazze milanesi solo con una mazza chiodata.
Da allora ho di molto migliorato le mie prestazioni giocando a calcio: allenandomi nel tiro al volo.
La cosa non stupisce, tra traffico, inquinamento, veleni, ecc. il rischio di essere schiacciati da una macchina, ingoiare schifezze o becchettare veleni per topi e scarafaggi è pari a quello di farzi una passeggiata per Bagdad dopocena.
Però devo fare una confessione: la colpa dello stress dei piccioni è di una sola persona.
Io.
Eppure sono sempre stato un animalista convinto. Distribuivo i volantini della Lega Anti Vivisezione al liceo. Sulla mia punkzine mettevo notizie, volantini e informazioni dell'Animal Liberation Front. Una volta ho pure partecipato a un assalto alla Sandoz nella sede vicino a Via Ripamonti.
Per un certo periodo sono pure stato vegetariano.
Poi è cominciata la guerra. Una guerra che non vincerò mai, ma che smetterò di combattere solo da morto.
Era una notte di metà anni 90 e, con l'usuale compagnia di studenti universitari che si ritrovavano nell'Aula Quarta Occupata del Politecnico di Milano, mi stavo pigliando un gelato in una gelateria.
Tra una cazzata e l'altra, ci sediamo sul gradino all'ingresso della gelateria per aspettare quelli che erano ancora in coda.
Io mi sto godendo il mio cioccolato e pistacchio quando, mentre sono girato a parlare, mi arriva uno stronzo di piccione caldo e semiliquido a spantegarsi sulla pallina marrone.
Sono conscio che siffatta visione sia atta a suscitare immediata ilarità nei presenti, del resto anch'io non posso trattenermi dal dichiarare oggettivamente comico l'accaduto. Anche se dover buttare il gelato è un pò un dito nel culo.
Ma che ce ne fotte a noi? "Il gelato, poi, non era un graché, almeno non mi è arrivato addosso" mi dico.
SPLOSCH.
SPLOSCH.
Altri due boli di melma bianchiccia mi si stampano sulla manica della t-shirt, all'altezza della spalla.
Schifo.
Sento il caldo umidiccio del guano passare le maglie del tessuto e invischiare della loro vischiosa materia i recettori del tatto nella mia pelle.
"maporcaputtanatroialuridainfamebastardahhhhh!!!!!". Questa è l'unica reazione riportabile su pagina scritta che non mi costerebbe denuncie di vilipendio a qualunque religione esistente o estinta, in essere o in divenire, sul 99% del globo terracqueo.
La scarica di bestemmie fece tremare le vetrate del vicino Cimitero Monumentale, scoperchiando pure qualche decina di tombe di alti prelati deceduti e testè seppelliti, che per non sentire siffatte volgarità trovarono rifugio nelle valli bergamasche.
Un ondata successiva polverizzò le torah tra le mani di rabbini in fuga dalla sinagoga, le cui pareti non reggevano all'onda d'urto.
Una terza incendiò in pochi secondi, tra fiamme infernali, le 18.000 bibbie conservate nel magazzino della vicina chiesa evangelica di Via qualcuno da Vimercate.
La quarta schiantò e abbattè, tra muri sfondati e lamiere contorte, la moschea della Bovisa.
Il traffico si bloccò.
I capannelli di gente che chiaccherava ammutolirono.
I treni della vicina stazione Garibaldi non si decidevano a partire.
Avevo offeso qualunque divinità, dal Walhalla ai Raeliani.
Nelle pieghe metaforiche tra il detto e il non detto il silenzio, una massa opprimente che schiacciava i presenti come un armageddeon imminente, si spandeva all'intorno.
Nella mancanza totale di suoni, voci, rumori, come un gesso sulla lavagna, rumoreggiavano i piccioni.
Indifferenti a tutto, incoscenti del loro essere causa del dramma che si stava consumando, svolazzavano in giro, si beccavano, zampettavano, ma sopratutto scagazzavano.
Per essere testimone di quest'ultimo affronto, incredulo, alzai la testa al cornicione del sesto piano, ricovero abituale degli orrendi pennuti.
SPLOSCH.
Sulla guancia destra, all'angolo della bocca, mi si aprì come una lebbra improvvisa un'orrenda macchia grigia e bianca.
Nella bocca sentii improvviso un sapore viscido e salato.
A quel punto nessuno osava ridere. Cazzo, nessuno osava nemmeno parlare.
Mentre la mano gentile di un'amica mi porgeva un fazzoletto, la mia bocca era serrata. Un pò per non assaggiare l'orrido liquame, un pò perché esaurita ogni bestemmia nella scagazzata precedente avevo paura di eruttare fuoco e fiamme.
Il quartiere ricominciò a respirare quando, di li a poco, me ne sarei andato, avviandomi verso Via Quadrio e la mia auto parcheggiata.
Auto che, naturalmente, era stata scagazzata dai piccioni. Naturalmente anche sulla portiera, proprio nel punto dove, a finestrino aperto, appoggio il braccio.
No, non c'era nessuna parola. Non servivano improperi, insulti, bestemmie.
La rabbia doveva essere incanalata in lucida vendetta.
Da allora faccio una piccola "x", incisa sulla portiera della mia auto per ogni piccione sfracellato.
Da allora vado nottetempo in Piazza Duomo con becchime tagliato col veleno per topi.
Da allora attraverso certe piazze milanesi solo con una mazza chiodata.
Da allora ho di molto migliorato le mie prestazioni giocando a calcio: allenandomi nel tiro al volo.
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