E' rarissimo che metta sul blog cose non mie.
Finora era accaduto solo per i due post su Gianni Agnelli, presi dal sito di El Paso.
In pratica lo faccio quando qualcuno dice cose che vorrei dire io, sopratutto se lo dicono meglio di come lo direi io.
Questa volta la cosa è fondamentalmente diversa.
Questa volta posto qualcosa su cui io per primo so poco o niente.
Questa volta posto quello che potremmo chiamare un blog nel blog, un diario di viaggio (tuttora in corso) tra Perù e Bolivia di una persona che si occupa di diritti umani, rifugiati di tutti i tipi e di molte altre cose.
Da quando è partita per Lima, quando può, ovvero quando ha un pc e una connessione a disposizione, manda una mail-diario a una lista di una 20ina di amici.
Io gli ho chiesto se potevo postare le sue mail sul blog e, dopo un paio di giorni di trattativa, ha (titubantemente!) acconsentito.
Oggi pubblico la prima mail peruviana, domani la seconda.


LIMA, PERU - Parte 1
Friday, 05 Sep 2003 04:29:50


Qui è notte ed io sono molto emozionata e vorrei raccontare, o cercare di raccontare a tutti questa giornata.
mi sto ambientando a Lima: non mi importano, a prescindere dalla prudenza, tutti quelli che mi dicono che questa città non ha un'anima, che la gente ormai non sa più essere umana.
Non mi importa.
MI sono svegliata, e per la prima mattina, sono uscita a testa alta: sono l'unica bionda, l'unica con gli occhi azzurri e l'unica alta. Ma voglio fidarmi. Non voglio vivere nella paura, non voglio dipendere dagli altri.
So che sarà una bella giornata.
Lo sento. Come è tipico mio.
Predo il taxi e, spavalda, conduco la contrattazione di rito, spuntando un prezzo insperato.
Offro una sigaretta al taxista: io, che non fumo. Ma so che qui non fumano perché gli piaccia. Il fumo è il vizio dei ricchi. Lo fanno se gliele offrono, e li fa sentire ricchi, per quei secondi che corrono dal primo all'ultimo tiro.
Il taxista non crede che io sia qui da soli 4 giorni. Com'è che parlo spagnolo tanto bene e conosco le strade?
Parliamo di Toledo, delle illusioni che il primo presidente indigeno ha dato alla nazione ed ha calpestato costruendo una villa per sè e dimenticandosi tutto e tutti.
parliamo di un Paese che potrebbe essere splendido ma che non ha più fiducia in se stesso.
che potrebbe portare lontani, ma che collassa su se stesso. Parliamo del fatto che... lui è un poliziotto ma che guadagna troppo poco e dunque, fra le due vie ha scelto quella del lavoro extra (l'altra è la corruzione).
in lontananza sento ancor piu' rumore di quello che già c'è. Chiedo cosa succede. E lui, finalmente, si apre in un sorriso: si, è vero. Sono solo 4 giorni che sono a Lima... altrimenti saprei che è uno sciopero. qui tutti sono in sciopero, tutti i giorni.
arriviamo a destinazione e la strada la indico io (con certa spavalderia).
Come tutti i taxisti mi lascia il suo numero, perchè dice che non devo fidarmi di tutti. perchè spera che io gli dia altri 5 soles, per una qualunque corsa. per un qualunque giorno.
Lima è democratica in una sola cosa: l'umidità ed il grigio. Per tutti e tutti i giorni.
Entro in ufficio e mi perdo nel mio lavoro.
Ad un tratto entra un poliziotto.
Prendo un pò paura. Perchè lo vedo teso. Cosa c'è? Non sa come scusarsi, ma... devo chiudere la finestra. Perchè?
perchè passa una manifestazione e fra un pò... non fa a tempo a spiegarmelo. Arrivano i primi pomodori e le prime uova.
ma non è quello il problema. E' l'odore che si inizia a sentire dopo. Lacrimogeni.
Allora si esce tutti dall'ufficio. Io come in trance, gli altri con una triste rassegnazione in volto. Pratici come pochi, decidono che si deve andare a mangiare, passando dal retro.
Siamo in centro a Lima: un circo umano in cui i parlamentari mangiano a quattro palmenti a pochi metri dal caos e dalla disperazione.
Io sono l'ospite occidentale, dunque mi portano in un ristorante bello.
io dentro mi sento in un altro mondo. Silenzioso.
Fuori la gente urla rabbia e frustrazione.
Dentro servono pesce e maracuja.
Ad un tratto un po' di agitazione. Mi volto e vedo un signore che stranamente mi pare familiare che mi indica.
Io non conosco nessuno qui... perchè mi pare famigliare?
Perchè... stava seduto, mendicando a pochi metri dal ristorante.
Posso vedere dalla finestra che ha lasciato la sportina di plastica con la sua vita ad attenderlo sul marciapiedi. Che vuole da me?
Mi affretto a sorridere verso gli allarmatissimi camerieri che allora lo lasciano passare.
Masticando uno stentato spagnolo (era quecua) mi regala uno strabiliante fiore rosso.
Perchè dice che i miei occhi meritano un dono.
Ed esce. Più dignitoso di tutti i pomposi signori che si stanno ingozzando al mio fianco.
Mi sento la regina del Peru.
Torno al lavoro quando le cose sono già calme.
Alle sei altro taxi, altra chiacchierata. Con un disperato che mi racconta la sue miserie e piange il paese senz'anima. E mi parla di quello su cui lui non sa che io lavoro. La Commissione della Verità. Gli anni, i 20 anni di orrore. Mi dice che non gli importa più nulla. Che solo vuole la tranquillità economica.
In Europa c'è la tranquillità economica? Sono sola? Devo stare attenta.
Qui nessuno rispetta nessuno. Perchè nessuno vale più.
Arrivo alla Croce Rossa e mi incontro con chi mi attende li.
Andiamo a Chorrillos, quartiere disadattato sulla costa. Sappiamo dove stiamo per entrare. Alla mostra di foto allestita dalla Commissione per la Verita´.
il mio lavoro.
69.000 morti in 20 anni. 6500 desaparecidos. 600.000 persone costrette a lasciare la propria casa. Tre attori principali, tutti ugualmente colpevoli: Sendero Luminoso, il Movimiento Revolucionario Tupac Amaru e l'esercito.
non esistono buoni nè cattivi.
Una mostra lunghissima, in un edificio incredibile. Ancora diroccato.
Una casa coloniale che parla di vecchi fasti, ma che ospita le testimonianze di una paese che ha perso l'anima.
Siamo in tanti qui stasera.
Bambini, che imparino cosa ha passato il loro paese.
Contadini.
La Croce Rossa.
Io.
Tre amiche.
Studenti.
Gente comune e molto semplice.
Tutti muti di fronte ad immagini che fanno vomitare per quanto sono crude.
Ma la violenza è così.
Uguale per tutti.
Il Peru è un paese immenso. Immensamente ferito. Tutti hanno ucciso tutti. Tutti hanno tradito tutti.
Lo vedi negli occhi di una bambina che sta per essere trucidata da un senderista. Nell'ultimo fotogramma di un giornalista ucciso da un contadino.
Nei corpi affastellati e violati dall'esercito.
Senti solo il vomito. Qualche singhiozzo. e pensi che il paese ha perso l'anima.
il paese ha conosciuto l'orrore e non sai se si potrà riscattare. Oggi o mai più.
Tre ore fuori dal tempo. In questa casa diroccata, calandoti nell'orrore.
Ad un tratto Marisela, l'amica della Croce rossa, mi tocca la spalla, con un timido sorriso.
La tv mi ha ripresa (ho visto le immagini questa notte: io, grande, mentre senza nemmeno rendermene conto, piango. Mentre poco sotto di me, di fronte ad una foto terribile, di due mani che portano una fototessera di uno scomparso... c'è un bimbo che fissa sconcertato).
Piango. Piango per questo paese che non vede il futuro. Che odia il presente. E che ha un passato orrendo.
Piango per il funerale dell'anima di questo popolo. devo uscire dalla mostra. perché non ce la faccio più.
mi siedo di fronte all'oceano, ad aspettare le altre.
Onde. Che ruggono.
E nient'altro. Nel freddo della notte di Lima.
Mi si affastellano le immagini e il cuore mi batte all'impazzata. Per il desiderio di gridare, di fare qualcosa. di cambiare. Per la consapevolezza che tutto si può curare tranne un'anima trucidata. Il Peru non ha un'anima.
Sto per sprofondare in questa triste constatazione. Voglio un fazzoletto per asciugare la tristezza.
Frugo nella tasca. E trovo il fiore rosso dello sdentato mendicante.
Non piango piu'.
L'oceano continua a ruggire.
Il Peru ha un'anima. Ferita. Rossa ancora di sangue tanto recente. Ma è come il mio fiore.
E profuma. Ragazzi... come profuma.

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