Ad un'ora dall'inferno, in fondo in paradiso
Friday, 17 Oct 2003 01:24:09


Sono a 4000 metri di altezza. Fuori le stelle sono già alte in cielo, e sono così tante... non ce lo ricordiamo nemmeno più da noi, mentre qui, a Puno, sulle sponde del lago più alto del mondo (Tititcaca), basterebbe allungare la mano per raccoglierle come frutti maturi.
Ci si sente strani quassù. Si respira a fatica. Tremano le gambe. Ma ci si sente in paradiso. Eppure, se guardi questo lago blu (un blu che fa quasi male), sai che con la barca che prenderai tu arriverai solo a qualche isola. Se invece ti volessi spingere un poco più in la (una navigazione di un'ora, non di più)... arrivi in Bolivia. Proprio a El Alto, dove oggi sono morte altre tre persone.
Fa un effetto strano.
Sapere che hai così vicino qualcosa di tanto orribile. Qualcosa che conosci. La Paz mi è entrata nel cuore e non posso non sentirmi male vedendo le foto di quella città che arde. Non posso non provare una stretta al cuore ogni volta che apro la mia casella mail e vedo che i miei amici laggiù non mi rispondono.
Molti di voi mi hanno scritto, dicendomi che finalmente anche la stampa o la tv italiane hanno cominciato ad occuparsi di quel dramma. Sono lieta che la tragedia non sia più dimenticata, ma devo dire che arrivano ancora notizie troppo leggere rispetto quello che è la verità.
La verità sono 86 morti (TUTTI CIVILI) in un mese. Almeno 100 feriti... tutti da arma da fuoco (questo non so cosa suggerisce a voi, ma a me suggerisce che la polizia e l'esercito non intervengono esattamente per sedare, ma per reprimere). Ci sono ancora 130 ostaggi per i blocchi stradali. La città di La Paz è isolata. L'aeroporto è chiuso da due giorni e numerose ambasciate hanno apertamente detto che non si assumeranno alcuna responsabilità se qualche cittadino europeo se ne va ora in Bolivia e finisce in qualche casino...
La rispostra delle autorità ora è quella di indire un referendum su cosa fare del gas naturale del Paese. Ma posso dirvi tranquillamente e credo che vi fiderete di me, che quello non è il vero problema. O, quanto meno, non il solo. Il punto è che il 70% della popolazione vive sotto al soglia della povertà.
Il punto è che il Governo non considera richieste base come acqua e luce in ogni villaggio.
Il gas, esportarlo via Cile o via Perù... sono solo aspetti. Ma non lasciatevi abbindolare. La realtà è molto più complicata. E il MAS e la COB non si fermeranno qui. Non importa il numero dei morti: non hanno nulla da perdere. La loro vita, forse, ma sono ad un punto in cui non gli interessa più.
Vi chiedo solo una cosa: non dimenticatevi di quella gente. So che per me è qualcosa di personale. So che non sono i soli che soffrono. Ma è molto diverso avere visto di persona le lacrime negli occhi di una contadina che non ha avuto null'altro dalla vita che schiaffi in faccia. Io MI SENTO RESPONSABILE per non dimenticare quella gente. E tanto meno penso di poter permettere che si raccontino verità parziali e che si abbindoli la gente. Voi siete miei amici, miei parenti, miei conoscenti. Non è molto, magari è solo una noia per voi, ma ormai è parte di me e non posso non raccontare.

Tornando al mio Perù. Sono a Puno, dicevo. Qui ci sono arrivata dopo essere passata per Arequipa e Chivay.
Ad Arequipa sono giunta dopo un interminabile viaggio in bus attraverso il deserto. Alle 6 della mattina ci siamo svegliati fermi nel deserto... ho atteso un pò e poi sono scesa per cercare di capire. Si era rotto il bus (strana costante...). Il povero conducente ha cercato di ripararlo invano per 2 ore (nessuno si fermava per aiutarlo) e poi ha chiamato i soccorsi. Dopo altre ore di attesa, ci hanno portati via. Ed Arequipa è comparsa di fronte ai miei occhi. Maestosa, strana. Mezza rimbambita ho dovuto afrontare il primo tentativo di truffa ai miei danni: dovevo andare in un ostello catapecchioso ma dignitoso. Li mi registrano e poi mi dicono che non c'è posto... e quindi mi portano ad una presunta succursale, che tutto è tranne che una succursale. Ormai è tardi per ribellarsi. Accetto la stanza con i simpatici optional che offre: ragni, papatacci e un asciugamano zozzo. Solo faccio notare che non sono così sprovveduta come sembro e che al mio ritorno dal canyon del Colca, che sarà due giorni dopo, esigo che mi diano la stanza dove originariamente doveva essere. Capiscono, e tremano. Non volevo essere così dura, ma va detto che qui sono un po' furbetti e soprattutto maschilisti, per cui se non ci si fa rispettare, se ne approfittano. Se capiscono che non tira aria, diventano le persone più affidabili ed amabili del mondo.
Gli arequipeños hanno una fama strana. I limeños li odiano e quindi te ne parlano male. In realtà sono buona gente, molto povera, segnata dalla strana situazione in cui vivono.
Ad Arequipa c'è un terremoto tutti i giorni. Non fortissimi, grazie al cielo. Ma intensi. Arequipa sta fra tre vulcani, a 2.300 metri. tutto attorno il deserto. Qualcosa di stranissimo.
La città ha degli angoli stupendi (infatti è patrimonio cuturale dell'umanità) e me la godo seppure la stanchezza inizia a farsi sentire, perché ad essere onesta, sto tenendo un ritmo che nemmeno in un campo militare impongono.
Il giorno dopo, all'alba, si parte per il canyon del Colca, su un furgoncino scassato e polveroso, guidato dal prode Melvin. Il canyon del Colca è il più profondo del mondo. Io andrò a visitarlo, per vedere i condor che volano lassù, per conoscere le viscere della terra e vedere i villaggetti della valle del Colca.
Il viaggio è lungo, tutto su sterrato. Si sale fino a 4.900 metri (non sapete quanto ho benedetto quel pacco di foglie di coca... sembravo un lama pure io a forza di masticarle, ma almeno non ho acutro problemi con l'altezza), in un paesaggio lunare, deserto, nel quale ogni tanto passa qualche contadino e qualche lama. Tutto il resto è vento e machetas. Le machetas sono delle piccole costruzioni di pietre affastellate una sull'altra. La gente della valle sale quassù, perché pensa di essere più vicina a dio, e prende quattro o cinque sassi, ponendoli in equilibrio uno sull'altro. E' una preghiera, un desiderio. Se la pila non cade, si avvererà, altrimenti no. A 4.900 metri ho scoperto la valle dei sogni... milioni di queste piccole torri di speranze.
Non so come spiegare, ma si respira un'energia strana. Mi sono sentita come se tutto ad un tratto avessi scoperto dove finisce l'arcobaleno o dove cadono le stelle cadenti. Magico, in una parola.
Il viaggio l'ho fatto con 4 israeliani. Piuttosto odiosi, direi, se non fosse per il fatto che hanno cantato tutto il tempo ed erano canti stupendi. Loro se ne sono andati per la loro strada quando io mi sono fermata a Chivay, cittadina capoluogo della valle. tetti in lamiera, un freddo tremendo e che non da tregua per la notte e una povertà impressionante.
L'unica fonte di guadagno è il turismo. Per il resto solo terrazze inca e condor... e le terme.
Le terme che sono splendide, se non fosse per un piccolo, odioso particolare: ci sono 3 vasche termali. Una per gli autoctoni, le altre per stranieri. Io protesto perché mi pare una cosa incivile. E così anche Melvin e Cecilia (seguiti da altri amici loro peruviani) vengono nella vasca internazionale.
E' stata una mezzora di pace, internazionale. Bello, semplicemente. Spero che non abbiano alzato la testa solo oggi, ma che lo facciano anche in futuro.
I condor si vedono solo all'alba ed io ne ho visti sei alle 6 del mattino. Splendidi, maestosi.
Da li si prosegue, si visita la valle, si vedono villaggi sperduti, con 150 abitanti, seznza luce e acqua, ma almeno con la scuola elementare. E quando in piazza mi metto a leggere per delle bambine il loro libro di testo, è una festa per tutti. Si dimenticano che volevano soldi e tornano bambini: gioiscono del fatto di essere vicini a qualcuno tanto diverso, che legge loro le fiabe.
Ci credono ancora, qui, alle fiabe. Anche perché non hanno altro a cui credere.
Si torna ad Arequipa e Melvin in un modo dolce che mi commuove, insiste per offrire il "miglior succo di frutta della città", giocandosi così la mancia che gli avevamo dato.
Ci racconta la sua storia. Guida perché gli servono soldi, ma studiava per essere avvocato. Gli mancano due anni di università. Andava bene, ma suo padre che era agricoltore, ha perso tutto con il cambio di governo e lui non si può permettere altro che non lavorare. Ma continua a sognare di terminare gli studi un giorno. Nel frattempo, pur di farci assaggiare il succo, si priva di quei 10 soles che tanto utili gli sarebbero. Ma non sente ragioni. Siamo nel suo Paese e lui vuole dimostrare che, dopo tutto, è un grande e sfortunato Paese. Un Paese malato, lo descrive lui. E rincara la dose di insulti che ho già sentito contro Toledo, rimpiangendo un pò Fujimori, che almeno faceva qualcosa.
Adesso chiarisco, perché penso che qualcuno in Italia fraintenda le mie parole.
NON sono io che rimpiango Fujiomori. per me è un ladro ed un assassino.
Ma io sono una straniera in terra straniera e sto solo ascolando. Da un mese e mezzo ascolto. Ascolto taxisti, contadini, poveracci, viceministri, professori, sindacalisti.
Ascolto con l'umiltà di chi viene per capire.
Ascolto con lo stupore di chi è venuto quasi simpatizzando con il terrorismo, e che ora ne riconosce gli orrori, semplicemente perché crede agli occhi ed alle ferite in carne viva di chi quegli orrori li ha vissuti.
TUTTI, indipendenetemente dalla classe sociale, odiano Toledo (ed è evidente che questo non fa un bel nulla per il Paese). TUTTI si limitano a farmi vedere le strade che Fuijimori ha costriuito, i collegi. Oggi, in Perù tutti studiano, almeno fino alle medie. E questo grazie a Fujimori. Al ladro ed all'assassino Fujimori.
Io ascolto. E a voi racconto i fatti.
Non assolvo Fuijmori, ma non perdono nemmeno Guzman.
E se a qualcuno non va bene... spero solo che sia un peruviano e non un italiano che si permette di fare una comoda morale cattocomunista dalla sua bella poltrona a Milano.
Se è un peruviano ascolto anche lui e aggiungo un tassello a questo strano e complicato puzzle. Altrimenti, per favore, taccia.
Bene, ho scritto anche troppo. Esco a Puno. Nel paradiso ad un passo dall'inferno.
E continuero'ad ascoltare, sotto queste stelle tanto vicine.
Un abbraccio, forte, Gabriella

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