Silvio Bernelli - I Ragazzi del Mucchio - Sironi Editore, 2003
Presentato come romanzo, I Ragazzi del Mucchio è in realtà un'autobiografia. O una biografia di un gruppo di persone. Per quello che mi riguarda è uno dei libri migliori che abbia letto sulla maltrattata avventura dell'hardcore italiano.
Ben scritto, scorrevole, comprensibile anche per chi quella storia non l'ha vissuta, questo libro racconta un'atmosfera che è quella che vivevano ragazzi che ora hanno 30-40 anni: quelli che hanno fatto la scena hardcore italiana.
Silvio ha suonato in due dei gruppi FONDAMENTALI dell'hardcore italiano: Declino e Indigesti.
Due gruppi assolutamente originali, simili a nessun altro, come purtroppo ora non accade più.
Per me poi, assolutamente imprescindibili: la cassetta "Mucchio Selvaggio" (lo split Declino / Negazione) fu una tra le prime autoproduzioni italiane che presi alla Virus Diffusioni, e gli Indigesti, da sempre il mio gruppo hc preferito, uno dei primi gruppi hc italiani che vidi dal vivo, una notte del 1985, al Virus di Viale Piave insieme ai Crash Box.
Il libro racconta la vita, i tour, i concerti e le storie di un gruppo di ragazzi, dalla Torino dei primi anni 80 ai diversi tour europei e americani che, in tempi diversi, i tre gruppi fecero.
Ma racconta anche la vita di tutti i giorni (forse un pò troppo sinteticamente), la stessa che si viveva a Milano, Roma, Bologna e tutte le città dove contemporaneamente nasceva e si sviluppava una scena hardcore.
E' difficile rendere cosa volesse dire fare parte della scena hc negli anni 80, ma il libro ci riesce abbastanza bene, cogliendo una delle caratteristiche fondamentali: l'unità di gruppo, il sentirsi pochi e soli contro tutto e tutti, il "branco" nel senso migliore del termine.
Questa cosa esisteva dappertutto, anche senza un nome tipo "Mucchio Selvaggio": amici, fratelli, compagni, con cui decidevi di partire in treno, per andare a Pisa, Roma, Bologna, Torino, in Veneto, a Zurigo, a volte anche più lontano. Dovunque ci fosse un concerto di qualche gruppo che bisognava assolutamente vedere, armati di biglietti falsi e arraggiandosi su tutto. Con cui formavi e disfavi gruppi, cercavi di organizzare concerti scontrandoti con i politicanti burocrati da centro sociale (gli unici che, raramente, degnassero di uno sguardo la nostra musica), facevi fanzines, cercavi di sfondare ai concerti, vagavi per la città sui primi skateboard veri e propri.
Straccioni vestiti di bandana e camicie a quadri, pantaloni pieni di scritte, t-shirt dei gruppi, anfibi o All Star. Qualcuno vestito anche regolare, ma uno di noi comunque.
Viaggi in InterRail verso Berlino, Amsterdam, Londra, Barcellona, Bilbao. Dovunque si sapesse di trovare gente come noi, squat o locali dove sentirsi "Out of step (with the world)" era una cosa comune a tutti.
In realtà non sono in grado di scrivere una recensione oggettiva. Lo posso fare, probabilmente male, con libri sul punk: come quello di Philopat, che quando parla del 77 milanese o del primo Virus posso leggere più distaccato non avendo vissuto direttamente molte di quelle storie, forse anche con libri come quelli di Riccardo Pedrini e Roberto Perciballi, rispettivamente sul punk bolognese e romano, rispettivamente bassista dei Nabat e cantante dei Bloody Riot, che parlano sopratutto di punk, di cui l'hc è solo una parte (o forse perché sono bolognesi e romani, e Milano e Torino erano in molti sensi più vicine).
Il libro di Silvio parla di quella che era anche la mia scena. Anche se con lui non ho mai parlato, anche se l'ho visto non più di 2 o 3 volte sul palco con gli Indigesti (i Declino, purtroppo, li ho sempre persi!).
E sulla propria storia, sul proprio vissuto, non si può mai essere obbiettivi. Ne critici letterari.
Come finire questa cazzo di recensione?
In quale altro modo che con le righe scritte dai Negazione all'interno del loro lp "Lo Spirito Continua"...
"Abbiamo sempre sommato momenti su momenti cercando di ottenere qualcosa che non fosse solo nelle nostre menti, collezione di attimi per le sensazioni più belle, non abbiamo mai avuto una base concreta e solida da calpestare ne qualcosa da stringere tra le mani; abbiamo sentito il logorio dei giorni e degli anni dentro; abbiamo percorso ormai per troppo tempo strade e ripetuto gesti troppo vecchi; abbiamo visto tutta la gente andare via, prima o poi, e abbiamo visto scomparire tante, troppe cose, l'unica certezza resta la precarietà, resta la solitudine; cose e persone cresciute attorno a noi non sono mai cresciute con noi, ne tantomeno per noi. Eppure siamo ancora qui, soli in un abbraccio disperato, ma lucidi nella nostra trasgressione, unici come mai, alla rincorsa di un sogno senza fine, pronti ad attaccarsi al più piccolo frammento di speranza, alle parole, ai gesti, a tutto ciò che ci rimane e ci può far continuare. Questa è la nostra musica, le nostre canzoni, la nostra vita; questo siamo noi, perché sappiamo che il "giorno del sole" non è lontano, anche se siamo qui legati. LO SPIRITO CONTINUA!"
Presentato come romanzo, I Ragazzi del Mucchio è in realtà un'autobiografia. O una biografia di un gruppo di persone. Per quello che mi riguarda è uno dei libri migliori che abbia letto sulla maltrattata avventura dell'hardcore italiano.
Ben scritto, scorrevole, comprensibile anche per chi quella storia non l'ha vissuta, questo libro racconta un'atmosfera che è quella che vivevano ragazzi che ora hanno 30-40 anni: quelli che hanno fatto la scena hardcore italiana.
Silvio ha suonato in due dei gruppi FONDAMENTALI dell'hardcore italiano: Declino e Indigesti.
Due gruppi assolutamente originali, simili a nessun altro, come purtroppo ora non accade più.
Per me poi, assolutamente imprescindibili: la cassetta "Mucchio Selvaggio" (lo split Declino / Negazione) fu una tra le prime autoproduzioni italiane che presi alla Virus Diffusioni, e gli Indigesti, da sempre il mio gruppo hc preferito, uno dei primi gruppi hc italiani che vidi dal vivo, una notte del 1985, al Virus di Viale Piave insieme ai Crash Box.
Il libro racconta la vita, i tour, i concerti e le storie di un gruppo di ragazzi, dalla Torino dei primi anni 80 ai diversi tour europei e americani che, in tempi diversi, i tre gruppi fecero.
Ma racconta anche la vita di tutti i giorni (forse un pò troppo sinteticamente), la stessa che si viveva a Milano, Roma, Bologna e tutte le città dove contemporaneamente nasceva e si sviluppava una scena hardcore.
E' difficile rendere cosa volesse dire fare parte della scena hc negli anni 80, ma il libro ci riesce abbastanza bene, cogliendo una delle caratteristiche fondamentali: l'unità di gruppo, il sentirsi pochi e soli contro tutto e tutti, il "branco" nel senso migliore del termine.
Questa cosa esisteva dappertutto, anche senza un nome tipo "Mucchio Selvaggio": amici, fratelli, compagni, con cui decidevi di partire in treno, per andare a Pisa, Roma, Bologna, Torino, in Veneto, a Zurigo, a volte anche più lontano. Dovunque ci fosse un concerto di qualche gruppo che bisognava assolutamente vedere, armati di biglietti falsi e arraggiandosi su tutto. Con cui formavi e disfavi gruppi, cercavi di organizzare concerti scontrandoti con i politicanti burocrati da centro sociale (gli unici che, raramente, degnassero di uno sguardo la nostra musica), facevi fanzines, cercavi di sfondare ai concerti, vagavi per la città sui primi skateboard veri e propri.
Straccioni vestiti di bandana e camicie a quadri, pantaloni pieni di scritte, t-shirt dei gruppi, anfibi o All Star. Qualcuno vestito anche regolare, ma uno di noi comunque.
Viaggi in InterRail verso Berlino, Amsterdam, Londra, Barcellona, Bilbao. Dovunque si sapesse di trovare gente come noi, squat o locali dove sentirsi "Out of step (with the world)" era una cosa comune a tutti.
In realtà non sono in grado di scrivere una recensione oggettiva. Lo posso fare, probabilmente male, con libri sul punk: come quello di Philopat, che quando parla del 77 milanese o del primo Virus posso leggere più distaccato non avendo vissuto direttamente molte di quelle storie, forse anche con libri come quelli di Riccardo Pedrini e Roberto Perciballi, rispettivamente sul punk bolognese e romano, rispettivamente bassista dei Nabat e cantante dei Bloody Riot, che parlano sopratutto di punk, di cui l'hc è solo una parte (o forse perché sono bolognesi e romani, e Milano e Torino erano in molti sensi più vicine).
Il libro di Silvio parla di quella che era anche la mia scena. Anche se con lui non ho mai parlato, anche se l'ho visto non più di 2 o 3 volte sul palco con gli Indigesti (i Declino, purtroppo, li ho sempre persi!).
E sulla propria storia, sul proprio vissuto, non si può mai essere obbiettivi. Ne critici letterari.
Come finire questa cazzo di recensione?
In quale altro modo che con le righe scritte dai Negazione all'interno del loro lp "Lo Spirito Continua"...
"Abbiamo sempre sommato momenti su momenti cercando di ottenere qualcosa che non fosse solo nelle nostre menti, collezione di attimi per le sensazioni più belle, non abbiamo mai avuto una base concreta e solida da calpestare ne qualcosa da stringere tra le mani; abbiamo sentito il logorio dei giorni e degli anni dentro; abbiamo percorso ormai per troppo tempo strade e ripetuto gesti troppo vecchi; abbiamo visto tutta la gente andare via, prima o poi, e abbiamo visto scomparire tante, troppe cose, l'unica certezza resta la precarietà, resta la solitudine; cose e persone cresciute attorno a noi non sono mai cresciute con noi, ne tantomeno per noi. Eppure siamo ancora qui, soli in un abbraccio disperato, ma lucidi nella nostra trasgressione, unici come mai, alla rincorsa di un sogno senza fine, pronti ad attaccarsi al più piccolo frammento di speranza, alle parole, ai gesti, a tutto ciò che ci rimane e ci può far continuare. Questa è la nostra musica, le nostre canzoni, la nostra vita; questo siamo noi, perché sappiamo che il "giorno del sole" non è lontano, anche se siamo qui legati. LO SPIRITO CONTINUA!"
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